Il rischio crac passa dalle banche agli Stati Il debito con l’Italia? È cresciuto del 500%

Il rischio crac passa dalle banche agli Stati Il debito con l’Italia? È cresciuto del 500%

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Si chiamano Herr Schmidt, Monsieur Dupont, Signor Rossi e Señor Garcia. Sono i contribuenti standard dell’Eurozona. E sono diventati anche i principali creditori di Atene. Passati da un saldo nullo alla fine del 2009 a un credito di 204 miliardi di euro nel settembre del 2014. Nello stesso periodo, invece, l’alta finanza delle grandi banche ha seguito la direzione opposta: il suo credito è sceso da 153 a 18 miliardi di euro, con un calo dell’88%.
I numeri — riferiti alle sette principali nazioni dell’Eurozona: Germania, Francia, Italia e Spagna, ma anche Austria, Paesi Bassi e Belgio — raccontano la metamorfosi del debito greco in questi cinque anni di crisi. Prima i creditori più esposti erano le banche, adesso sono i bilanci pubblici nazionali. Alla fine del 2009 i pesanti allarmi sui conti pubblici greci hanno portato sotto le luci della ribalta il dramma ellenico. Poi, dopo una serie di salvataggi pubblici, gran parte dell’esposizione greca di molte banche è stata trasferita ai Paesi dell’Eurozona. Per l’alta finanza è stato in parte un alleggerimento, in parte l’effetto della ristrutturazione del 2012, quando il valore del credito degli investitori privati è stato tagliato, e non poco.
Ma in cinque anni sono cambiati anche i pesi delle diverse nazioni creditrici. La ricostruzione Paese per Paese — riportata dal «Sole 24 Ore» sulla base di dati della Banca dei regolamenti internazionali — vede l’esposizione degli istituti tedeschi crollare dai 45 miliardi del 2009 ai 13,5 miliardi del 2014. Ancora più giù le banche francesi: da 79 a 2 miliardi. Quelle italiane sono passate da 7 a un miliardo. Sono invece cresciuti in misura diversa i crediti statali: tutti partiti da quota zero, Berlino è arrivata a 62 miliardi, Parigi a 46,5 miliardi e Roma a 41 miliardi. È l’effetto del peso dei singoli Stati all’interno delle istituzioni pubbliche creditrici: perché i saldi nazionali, oltre i finanziamenti bilaterali, includono le garanzie statali al fondo di salvataggio Efsf e il pro quota dei titoli greci comprati dalla Banca centrale europea.
Così, nel passaggio dalle banche ai bilanci pubblici, la metamorfosi del debito greco è stata anche nazionale. L’esposizione francese è scesa da 79 a 48,5 miliardi, quella italiana è cresciuta da 7 a 42 miliardi (+500%). In salita (ma meno) anche il credito tedesco: da 45 a 75,5 miliardi (+68%).
Ma la Germania può «consolarsi» su altri versanti. Come il cambio: quello fisso nell’Eurozona ha sganciato l’export tedesco dall’«handicap» del marco forte. E, verso il resto del mondo, il deprezzamento dell’euro è un assist più per Berlino che per Roma (i tedeschi esportano extra euro più degli italiani). Aiuta la Germania anche il piano Bce di acquisti di titoli di Stato: il 92% dei rischi pesa sulle singole banche centrali, ma i rendimenti, per lo statuto di Francoforte, sono ripartiti fra le Authority nazionali «in proporzione alle quote versate di capitale Bce». Per la Germania, se compra titoli nazionali, questo vuol dire pochi rischi, ma una discreta fetta delle più alte cedole dei Paesi del Sud. Come l’Italia, cui resta l’assist europeo dei tassi comunque bassi per finanziarsi. Almeno per ora.
Giovanni Stringa

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