Frasi choc dopo il suicidio in cella Gli agenti sul web: «Uno in meno»

by redazione | 19 Febbraio 2015 10:52

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Milano «Uno di meno. Che sicuramente non avrebbe scontato la pena per intero, ci sarebbe costato parecchi denari e che all’uscita avrebbe creato di nuovo problemi. Spero che abbia sofferto. Tre metri quadri a disposizione per qualcun altro…». Domenica, ore 12.02. Sono passati meno di due giorni da quando, alle 22.10 di venerdì scorso, Ioan Gabriel Barbuta, romeno di 39 anni, si è impiccato usando i pantaloni di una tuta nella sua cella del carcere di Opera (Milano). Barbuta era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio del vicino di casa, Guerrino Bissacco, ucciso e bruciato a Due Carrare (Padova) il 6 giugno di otto anni fa.
La notizia del suicidio viene diffusa dal segretario generale del sindacato Sappe, Donato Capece: «Purtroppo, nonostante il costante lavoro svolto dagli agenti, non si è riusciti a evitare il suicidio». Le parole del sindacalista stridono, enormemente, con quanto poche ore dopo affermano in Rete alcuni suoi colleghi. Perché è sui social network che si scatena la rabbia (e l’idiozia) di alcuni agenti che «commentano» la notizia del suicidio attraverso la pagina Facebook del sindacato Alsippe (Alleanza sindacale polizia penitenziaria). Tanto che, dopo che il caso è esploso scatenando l’indignazione della Rete, ieri il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha convocato il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo. Mentre lo stesso Dap ha aperto un’inchiesta per «individuare i responsabili» e valutare azioni disciplinari, come assicura il vicedirettore Luigi Pagano.
I commenti sulla pagina Facebook dell’Alsippe sono stati eliminati alcune ore dopo, ma la loro traccia non è scomparsa: «Un rumeno in meno»; «Scommettiamo che il giudice metterà sotto inchiesta chi era in servizio?»; «Mettere a disposizione più corde…»; «-1»; «Questo passo dovrebbero farlo in tanti»; «Ottimo, speriamo abbia sofferto». Ai commenti si sono aggiunti i «mi piace», quasi a innescare una gara di cinismo. Qualcuno ha tentato di riportare la calma e la ragione: «Comprendo i disagi gravi del vostro lavoro, ma la morte non si augura a nessuno». L’esito è fallimentare: «Lavora tu in un istituto poi vedrai. Per questo mestiere devi avere core nero ». Quasi tutti i commentatori sono agenti in servizio nelle carceri di mezza Italia. Coloro ai quali lo Stato ha dato «in custodia le persone private della libertà».
Dal punto di vista numerico la sigla dell’Alleanza sindacale rappresenta una assoluta minoranza degli agenti. I primi a prendere le distanze sono gli altri sindacati (certamente più rappresentativi) di polizia penitenziaria: «Parole che umiliano il nostro lavoro e i nostri sforzi». Tra i seicento agenti in servizio nel supercarcere di Opera, nessuno o quasi fa riferimento all’Alsippe: «Mi auguro che chi ha fatto questi commenti non indossi mai più una divisa — dice amareggiato il direttore del penitenziario, Giacinto Siciliano —. Questa vicenda è un’offesa per noi e per la famiglia della vittima. Facciamo sforzi enormi per evitare i suicidi in cella».
Dal coro di indignati (dalle associazioni per il reinserimento dei detenuti fino a deputati e senatori) il solo distinguo arriva dal leghista Matteo Salvini: «Conoscendo quali sono le condizioni in cui lavorano gli agenti non dico che giustifico, ma capisco».
Cesare Giuzzi
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