I forzati di un eterno presente

by redazione | 3 Febbraio 2015 10:04

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Un dia­logo sull’anzianità, sul rap­porto tra le gene­ra­zioni. E dun­que anche una rico­gni­zione sull’adolescenza. Sono que­sti i temi affron­tati nel volume fir­mato da Miguel Bena­sa­yad e Ric­cardo Maz­zeo (C’è una vita prima della morte?, Erick­son edi­zioni, pp. 134, euro 15). Due autori diver­sis­simi tra loro, ma acco­mu­nati da una stessa ten­sione, l’irriducibilità a una con­ce­zione domi­nante che can­cella la pos­si­bi­lità di un dia­logo tra diverse gene­ra­zioni e un’alterità verso chi ritiene che i pro­blemi delle società con­tem­po­ra­nee deri­vino dalla man­cata «rot­ta­ma­zione» di chi siede da decenni sugli scranni del potere senza avere nes­suna inten­zione di lasciare il passo ai «giovani».

Miguel Bena­sa­yag è uno psi­coa­na­li­sta con una solida pre­pa­ra­zione filo­so­fica (la prima lau­rea l’ha avuto pro­prio in que­sta disci­plina). Diri­gente poli­tico della sini­stra rivo­lu­zio­na­ria in Argen­tina, ha fatto la scelta della lotta armata per con­tra­stare il potere mili­tare. Arre­stato ha cono­sciuto il car­cere e la tor­tura. Ripa­rato for­tu­no­sa­mente in Fran­cia, ha appro­fon­dito gli studi della psi­coa­na­lisi e da alcuni decenni si occupa di devianza, mar­gi­na­lità e disagi psi­chico nelle isti­tu­zioni psi­chia­tri­che fran­cesi. Spi­no­ziano con­vinto ha scritto un for­tu­nato sag­gio sulle Pas­sioni tri­sti del tar­do­ca­pi­ta­li­smo (Fel­tri­nelli). Ric­cardo Maz­zeo, invece, è un edi­tor della casa edi­trice Erick­son, ma da alcuni anni ha incon­trato più volte alcuni «grandi vec­chi» della cul­tura euro­pea (Edgar Morin e Zyg­munt Bau­man), traen­done mate­riali per impor­tanti libri sull’educazione, su Marx e ristam­pando sem­pre per Erick­son, con una nuova tra­du­zione e intro­du­zione, il sag­gio di Edgar Morin su L’uomo e la morte .

Il dia­logo pre­sen­tato in que­sto libro segue due diret­trici paral­lele, anzi inter­di­pen­denti. L’anzianità è una con­di­zione umana negata. Chi ha dop­piato la boa della matu­rità dif­fi­cil­mente accetta di entrare in una fase della pro­pria vita che ha una sua spe­ci­fi­cità (l’esperienza accu­mu­lata, un certo deca­di­mento fisico) che nel pas­sato erano sino­nimo se non di sag­gezza, almeno di mag­giore capa­cità di affron­tare una vita sociale non sem­pre gene­rosa. Gli anziani, afferma Bena­sa­yag inse­guono il sogno di una eterna gio­vi­nezza. La chi­mica, il fit­ness sor­reg­gono que­sto esa­spe­rato e tri­ste gio­va­ni­li­smo. Ma quello che lo stu­dioso argen­tino rifiuta è l’irrilevanza che tanto gli anziani che gli ado­le­scenti asse­gnano alla «tra­smis­sione» dell’esperienza accu­mu­lata. Se per i gio­vani ciò è com­pren­si­bile, la rinun­cia a que­sta fun­zione degli anziani è cata­stro­fica per l’insieme della società.
Né Bena­sa­yag, né Maz­zeo fanno pro­pria la cam­pa­gna con­tro i gio­vani che in molti paesi euro­pei e negli Stati Uniti vede pro­ta­go­ni­sti espo­nenti poli­tici, comi­tati di geni­tori o «esperti» nel trat­teg­giare i gio­vani siano come una «classe peri­co­losa» da repri­mere per­ché attenta all’ordine sociale Sono tut­ta­via con­sa­pe­voli che la man­cata tra­smis­sione dell’esperienza tra gene­ra­zioni accen­tua com­por­ta­menti «devianti» tra gli ado­le­scenti. E che se qual­che respon­sa­bi­lità di que­sta situa­zione va cer­cata è da tro­vare pro­prio nel «gio­va­ni­li­smo» esa­spe­rato degli anziani. A ognuno il suo ruolo, sosten­gono i due autori. Gli anziani sono forti della loro espe­rienza. Hanno una per­ce­zione del tempo e del dive­nire della realtà meno rap­so­dica, sin­co­pata di quanto può invece per­ce­pire un gio­vane. Due moda­lità dif­fe­renti del vivere in società entrambi legit­timi. Entrambi sono però con­dan­nati a vivere in un eterno presente.

Ci sono pas­saggi molti belli in que­sto ser­rato dia­logo. Come quando Bena­sa­yag segnala le dif­fi­coltà dei gio­vani a tro­vare il loro posto in società a causa del «gio­va­ni­li­smo» degli anziani. Oppure quando Maz­zeo segnala la sof­fe­renza pro­vo­cata da una società che ammicca all’esasperato con­sumo dei gio­vani, met­tendo con­tem­po­ra­nea­mente in campo poli­ti­che sociali che con­si­de­rano una quota della popo­la­zioni degli «scarti umani» da get­tare nelle disca­ri­che sociali che costel­lano le metro­poli contemporanee.

Bena­sa­yag lam­bi­sce anche il tema di come le tec­no­lo­gie modi­fi­cano la capa­cità comu­ni­ca­tiva e l’apprendimento tanto nei gio­vani che nei «vec­chi». La mani­fe­sta­zione di alcuni disturbi — il defi­cit di atten­zione, la per­dita di memo­ria, la dif­fi­coltà di appren­dere com­pe­tenze scien­ti­fi­che — deri­vanti dalla per­va­si­vità delle tec­no­lo­gie –com­pu­ter smart­phone, ma anche la tv — sono affron­tati da schiere di esperti che scen­dono in campo solo per «medi­ca­liz­zare» la realtà sociale.
Le due con­di­zioni bio­lo­gi­che, l’anzianità e il suo con­tral­tare, l’adolescenza, sono affron­tati da come espres­sione del rigetto, meglio della rimo­zione della morte, anch’essa mani­fe­sta­zione di un ine­lu­di­bile approdo bio­lo­gico. Ma che nel fare que­sto, quella stessa società che ha paura della morte ali­menta un per­va­sivo e distrut­tivo sen­ti­mento mor­ti­fero nelle rela­zioni sociali.

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