by redazione | 25 Febbraio 2015 13:19
Per una curiosa coincidenza ieri i giornali ci hanno contemporaneamente informato della probabile cessione da parte della Finmeccanica di un pezzo del suo impero, in specifico della Ansaldo Breda e della Ansaldo Sts, ai giapponesi della Hitachi e insieme dei passi avanti che stanno facendo le indagini sulle accuse secondo le quali i vertici dello stesso gruppo avrebbero in passato corrotto Giulio Tremonti per fargli approvare delle decisioni cui l’ex-ministro era contrario.
Non è la prima volta che i dirigenti dell’azienda incorrono in accuse di questo genere e anche di altro tipo – si pensi solo alle vicende recenti dell’ex presidente del gruppo romano, Pier Francesco Guarguaglini — né che l’azienda vende un pezzo del suo impero; le due notizie non ci colgono quindi di sorpresa. Né ci meraviglia il fatto che un’ennesima fetta dell’industria italiana e delle sue tecnologie migliori passino il confine, senza che si manifesti un qualche interesse di intervento alternativo da parte di una compagine finanziaria nazionale. Si tratta, ahimè probabilmente solo per il momento, dell’ultimo episodio di una lunga e penosa serie di cessioni, di cui non si vede ancora certamente la fine. I futuri nuovi candidati aspettano in fila pazienti alla porta.
Per altro verso, il tentativo di corruzione contro l’ex ministro dell’economia sarebbe stato portato avanti per convincerlo a dare il via libera all’acquisto da parte del gruppo della Drs, impresa statunitense di una certa dimensione operante nel settore degli armamenti. L’azienda americana fu a suo tempo pagata 5,5 miliardi di dollari, cifra rivelatasi poi molto al di sopra del suo valore reale, mentre le ricadute industriali e commerciali dell’affare si sono mostrate inferiori alle attese; accadde persino che ai dirigenti italiani fu precluso l’ingresso in alcuni degli stabilimenti e degli uffici della società acquisita, dato che essa portava avanti dei progetti segreti. Il nuovo gruppo dirigente della Finmeccanica per ora sta meditando di rivendere alcuni pezzi del mancato gioiello e non esclude di cedere tutto in un prossimo futuro.
L’attuale ansia di liquidare alcune delle attività del gruppo italiano sono ora proprio collegate, anche se non esclusivamente, alle difficoltà finanziarie seguite al grosso esborso sopra citato.
La cessione della Ansaldo Breda e della Ansaldo Sts fa seguito in effetti a quella recente, questo volta ai cinesi, dell’Ansaldo Energia, altro pezzo storico del sistema industriale italiano.
Avendo preso la decisione di vendere, non c’è dubbio che i partner scelti offrono apparentemente delle buone garanzie per lo sviluppo di una parte almeno delle attività in questione (qualche dubbio lo si può forse avere sulla Breda, che i giapponesi hanno acquisito a malincuore, dal momento che a tale acquisto era legata obbligatoriamente la cessione della Andaldo Sts, una multinazionale tascabile molto ben collocata nel suo business di riferimento, il segnalamento ferroviario).
Ma non era affatto scritto negli astri che bisognasse cedere tali attività. Il punto è che da molti anni il gruppo dirigente della multinazionale romana, che proviene tradizionalmente per la gran parte dal settore militare, ha puntato tutte le sue carte sullo sviluppo di tale comparto e di quello dell’aerospaziale, trascurando invece gli investimenti nei settori dei trasporti e dell’energia, con i risultati negativi che non potevano non seguire.
Peraltro, la strategia avventurosa dei gruppi dirigenti romani, dapprima apparentemente coronata da successo, si era poi infranta in due scogli che la avevano quasi affondata. Da una parte era arrivata la crisi economica, che aveva portato alla riduzione, perlomeno in occidente, del mercato militare, che ha invece continuato a espandersi nei paesi emergenti, area dove però i nostri amici non avevano molta esperienza; dall’altra le gravi accuse di corruzione per il suo gruppo dirigente, scoppiate qualche anno fa e sfociate in procedimenti giudiziari poco simpatici.
I risultati non si sono così fatti attendere: Finmeccanica, come afferma il nuovo management, è oggi un grande malato, con la riduzione del fatturato e degli ordini, delle perdite di esercizio rilevanti a partire dal 2011(l’utile dovrebbe tornare dal 2015), un patrimonio netto dimezzato nello stesso periodo, un forte aumento dell’indebitamento.
Il nuovo amministratore delegato, Mauro Moretti, denuncia poi un portafoglio di business male assortito, nonché rilevanti problemi organizzativi. Ma egli assicura che le cose stanno rapidamente migliorando e qualche cifra sembra in qualche modo dargli ragione. Speriamo bene.
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