Denaro e ster­mi­nio, l’orrore della normalità

by redazione | 15 Febbraio 2015 10:35

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Il pro­gramma T4 doveva prov­ve­dere alla sop­pres­sione dei disa­bili. Con esso i nazi­sti spe­ri­men­ta­rono le camere a gas, che poi avreb­bero uti­liz­zato in modo indu­striale per ster­mi­nare il popolo ebraico e gli zin­gari. L’eliminazione dei disa­bili, gestita da per­so­nale medico pro­fes­sio­ni­sta, veniva con­dotta al riparo dallo sguardo del pub­blico, soprat­tutto da quello dei loro parenti. Ma il pro­gramma, vice­versa, era pro­pa­gan­dato e giu­sti­fi­cato: con pro­clami, mani­fe­sti, discorsi, tra­smis­sioni, arti­coli sui gior­nali: ogni disa­bile era una bocca in più da sfa­mare a spese del resto della popo­la­zione, osta­co­lan­done il cam­mino verso la meta comune.

Si cal­co­lava per­sino quanto pesasse sui conti nazio­nali cia­scuna di quelle boc­che. Così, sotto il nazi­smo, il popolo tede­sco si assue­fa­ceva, un po’ per volta, all’idea che le per­sone «inu­tili», che erano «un peso» per lo Stato, o dan­nose per il radioso futuro della sua razza e della sua cul­tura, doves­sero essere eli­mi­nate. E che fosse giu­sto farlo. Senza accor­ger­sene? No. Certo né le sop­pres­sioni «cli­ni­che» dei disa­bili, né le fuci­la­zioni di massa degli ebrei, né l’attività indu­striale dei campi di ster­mi­nio si svol­ge­vano sotto i suoi occhi. Ma tra que­sto e soste­nere che non ne sapesse niente, e che non tro­vasse tutto ciò neces­sa­rio, se non «nor­male», ci passa.

A me non piace l’uso dei ter­mini nazi­sta o fasci­sta, o di loro equi­va­lenti, per stig­ma­tiz­zare cose del tutto dif­fe­renti. Quanti nuovi Hitler abbiamo avuto negli ultimi anni? Milo­se­vic, Sad­dam, Bin Laden, Ghed­dafi, Al Bagh­dadi. Diven­tati tali, in genere, solo dopo che si era deciso di eli­mi­narli. Prima anda­vano benis­simo. E quanti nuovi fasci­smi? Con l’ovvio rischio di con­su­mare parole e rife­ri­menti, ren­den­doli pro­gres­si­va­mente meno espres­sivi. Ma per quanto riguarda le poli­ti­che di ster­mi­nio, il rigetto di que­sto abuso lin­gui­stico non può esi­merci dal pren­dere atto che noi in Europa (e certo non solo in Europa; ma comin­ciamo da casa nostra) stiamo gra­dual­mente sci­vo­lando lungo un per­corso che dovrebbe allar­marci. Stiamo varando e legit­ti­mando una poli­tica di ster­mi­nio dei pro­fu­ghi che cer­cano una via di sal­vezza nei nostri paesi.

Anche noi teniamo lon­tane quelle loro morti e ce ne accor­giamo solo quando «bucano lo schermo» per il loro numero. Ma intanto c’è, sia nelle isti­tu­zioni che nell’«arena» poli­tica, chi le giu­sti­fica – e chi se ne fa un vanto – con moti­va­zioni che ricor­dano il pro­gramma T4. Sal­varli, con Mare Nostrum, costa troppo. Non pos­siamo per­met­ter­celo. Meno che mai può per­met­ter­selo l’Europa, alle prese con le strette di bilan­cio delle sue poli­ti­che. Al mas­simo si può finan­ziare un pro­gramma come Tri­ton, che ha come scopo non sal­vare quei pro­fu­ghi, ma respin­gerli. In fondo al mare. E poi, dicia­mola tutta: se li sal­viamo ne inco­rag­giamo altri a pro­varci ancora (in realtà non «inco­rag­giamo» nes­suno, come dimo­strano le sta­ti­sti­che: con Tri­ton, che li vuole man­dare a fondo, ci sono più sbar­chi che con Mare Nostrum, che cer­cava di sal­varli). Ci pro­vano e ci pro­ve­ranno per­ché sono esseri umani che non hanno altra scelta che ten­tare uno sbarco in Europa. A qual­siasi costo; anche quello di una morte atroce, del cui rischio non sono certo ignari.

Ma se li sal­viamo, poi ce li ritro­viamo sul nostro «suolo», nelle nostre città, magari nasco­sti in una fab­brica abban­do­nata, sotto un via­dotto, in uno scan­ti­nato. Sono sem­pre di più: non pos­siamo per­met­ter­celo. Ed ecco rie­mer­gere, nel discorso poli­tico, la tesi della «popo­la­zione super­flua», che pesa sui nostri conti senza con­tri­buire a soste­nerli, come ripete ogni giorno l’astro nascente Mat­teo Sal­vini. E magari molti di quei dispe­rati lavo­rano come schiavi in un campo, in un can­tiere, o nel retro­bot­tega di un risto­rante; come molti ebrei, anche loro «super­flui», che prima di essere man­dati a morte veni­vano impie­gati nelle fab­bri­che tede­sche. Ma quella massa di dispe­rati è una pre­senza che comun­que deturpa il decoro di una città, di una strada, di un paese. E poi, sono troppi. Come libe­rar­cene? Pun­tiamo il nostro sguardo sui 140mila che sono sbar­cati l’anno scorso in Ita­lia, e che poi sono stati in gran parte «aiu­tati» – in via uffi­ciosa; i trat­tati non lo per­met­tono — a rag­giun­gere altri paesi, dove ven­gono trat­tati (ancora per poco) un po’ meglio. Ma chiu­diamo gli occhi di fronte a quella che ormai è una «nazione» fan­ta­sma: sette milioni di pro­fu­ghi che dall’Ucraina al Medio Oriente, dall’Eritrea alla Libia, dal Niger al Paki­stan, pre­mono sui nostri con­fini; o sui con­fini dei paesi che hanno con­fini con noi.

Che ne sarà di loro? Che cosa ne fac­ciamo? Tor­ne­ranno nei loro paesi a guerre finite? No, per­ché quelle guerre — che non sono più tali, ma uno stato di bel­li­ge­ranza per­ma­nente senza più con­fini, inne­scato molte volte dall’Europa e dalla Nato — non sono desti­nate a finire pre­sto. Ogni nuovo inter­vento non fa che pro­durre nuovi fronti di guerra: ora anche al nostro interno. Poi, per­ché i loro paesi, dove già con­du­ce­vano una vita grama, ora sono com­ple­ta­mente distrutti. E là non c’è più posto per loro. Gran parte di quella «nazione», prima o dopo, cer­cherà di sfon­dare le mura della «for­tezza Europa». Accet­tarli in gran numero? Vor­rebbe dire cam­biare com­ple­ta­mente gli assetti delle nostre società: pre­di­sporci a vivere in una vera comu­nità mul­ti­cul­tu­rale. Altro che sfo­rare il 3% di Pil! Incon­ce­pi­bile. Anche se forse un’accoglienza decente potrebbe creare, tra le comu­nità espa­triate, le basi sociali e poli­ti­che di una ricon­qui­sta dei loro paesi di ori­gine alla pace e alla demo­cra­zia. Che non hanno molte altre strade per potersi affer­mare. Allora respin­gerli, mol­ti­pli­cando per venti o per cento gli sforzi bel­lici messi in campo già oggi con Fron­tex? Sarà guerra. Con­tro una «nazione» di dispe­rati. In parte la stiamo già facendo. Abbiamo finan­ziato trat­tati di respin­gi­mento, campi di inter­na­mento per­ma­nente, car­ceri dove si viola la dignità umana e si tor­tura, pat­tu­glie ben armate di dis­sua­sione, muri, reti e stec­cati alti cin­que metri. Per tenerli lon­tano dai nostri sguardi. Vivi o morti.
Ma se que­sto stiamo facendo con poche cen­ti­naia di migliaia di pro­fu­ghi in fuga da guerre, dit­ta­ture, fame e schia­vitù (nes­suno di loro si illude più di tro­vare in Europa l’Eldorado), che cosa faremo con gli altri milioni ammas­sati nei campi pro­fu­ghi del Medio Oriente? Con­tiamo forse di rin­chiu­dere tutta la popo­la­zione «super­flua» di quella regione in una o in tante «stri­sce di Gaza», dove tener impri­gio­nate intere comu­nità senza più patria? Bom­bar­dan­doli e mas­sa­cran­doli di quando in quando con il pre­te­sto di stron­care gli atten­tati, iso­lati ancor­ché feroci, gene­rati dalla dispe­ra­zione, o per­pe­trati in suo nome? Atten­tati che sicu­ra­mente si mol­ti­pli­che­ranno, soprat­tutto nel cuore dell’Europa. E non avrà tutto ciò dei costi spa­ven­tosi: umani, sociali e anche eco­no­mici? I costi della guerra.

Ma chi o che cosa ci sta sospin­gendo – sem­pre più indif­fe­renti, ma ignari certo no – verso tutto ciò? La cul­tura «ragio­nie­ri­stica» dell’Unione euro­pea: dispo­sta a man­dare in malora un intero paese, come la Gre­cia, per avere indie­tro i soldi pre­stati a suo tempo a un governo di mal­fat­tori. O a sacri­fi­care i con­tatti civili con l’Ucraina, sosti­tuen­doli con puri rap­porti mili­tari, gestiti dalla Nato e dalle mili­zie, que­ste sì, nazi­ste, per aver lasciato che a sal­varla dal default fosse Putin. O a sosti­tuire Mare Nostrum con Tri­ton, cioè il sal­va­tag­gio di migliaia di esseri umani con la loro morte in mare, per­ché il primo costa troppo. Alla «colpa» di essere ebrei o zin­gari abbiamo sosti­tuito quella di essere nati in paesi resi invi­vi­bili. Ma poco per volta, ci abi­tuiamo a tutto. Sem­bra che si parli di denaro. Invece si parla di sterminio.

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