«I nostri cittadini hanno pagato un prezzo carissimo alla crisi — ha detto il premier in Parlamento pochi giorni fa — Ora il conto lo devono saldare gli oligarchi che non hanno mai messo mano al portafoglio». Negli uffici ovattati degli armatori affacciati sui moli del porto ateniese hanno mangiato subito la foglia: nel mirino di Syriza c’è l’articolo 89 della Costituzione, quello che — come un diritto divino — consente ai proprietari di navi di non pagare balzelli sui profitti generati all’estero. Un salvacondotto fiscale in versione balneare che nelle stime dalla stessa Unione industriali di settore ha consentito di trasferire oltrefrontiera tra il 2000 e il 2010, unico dato ufficiale disponibile, 140 miliardi di utili — quasi la metà del debito del paese — senza pagare un centesimo all’erario.
La partita, purtroppo per Tsipras, non è facilissima nemmeno qui. Il tesoretto degli Onassis è sotto gli occhi di tutti. Ma metterci le mani sopra, lo sanno i premier che hanno provato prima di lui, non sarà facile. L’arma dei suoi avversari — sottile ma efficacissima a Bruxelles come al Pireo — è quella del ricatto. «Sono tranquillissimo — ha dichiarato sfrontato Symeon Pariaros, amministratore delegato della Euroseas — Non vedo come un governo guidato dalla sinistra radicale possa pensare di danneggiare un’industria così importante per il paese». Tradotto in soldoni: diamo da lavorare a 250mila persone, generiamo il 7% del Prodotto interno lordo nazionale, controlliamo un bel po’ delle televisioni che pilotano il consenso nel paese. Ergo, meglio non toccarci. «Vogliamo restare a lavorare qui e siamo pronti a fare la nostra parte — ha dichiarato Theodore Ventiamidis, leader della Confindustria dei mari — A una condizione: che nessuno tocchi i diritti che ci garantisce la Costituzione ». L’alternativa? Semplice: «Tutti abbiamo pronto un piano B che possiamo realizzare in 24 ore — racconta in camera caritatis a un tavolo del club velico di Microlimano uno dei grandi del settore — Leviamo l’ancora e prendiamo residenza fiscale altrove. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Monaco, Dubai, Singapore. Oppure in Germania, dove ci sono agevolazioni fiscali fortissime».
Minacce belle e buone. Nemmeno troppo velate. Che però, finora, hanno funzionato. Nessun premier ha mai osato andare contro gli interessi degli Onassis nazionali. «Sono loro che costruiscono gli ospedali nelle isole. Ogni giorno le loro ricchissime Fondazioni danno da mangiare a 50mila persone nel paese», spiega un portuale all’imbarco del traghetto per Aegina. Buonismo a buon mercato che ha consentito ai tycoon di dribblare senza problemi di coscienza miliardi di tasse. A intaccare i loro diritti ha provato anche Antonis Samaras. Salvo innestare subito una brusca retromarcia e venire a patti. Limitandosi nel 2012 — quando Atene era a un passo dal default — a concordare un «tassa temporanead’emergenza» come contributo alla crisi nazionale. Quasi 500 milioni in 5 anni che gli industriali del Pireo hanno pagato senza batter ciglio. «Tutti dicono che siamo evasori con i soldi in Svizzera — dice Panos Laskaridis, uno degli uomini simbolo del settore — Storie. Le nostre entrate servono a comprare barche nuove su cui poi facciamo lavorare i greci».
Adesso tocca a Syriza. I proclami sono roboanti. Anche sul fronte del Pireo però la sinistra rischia una lezione di realismo. «Sono qui per risolvere i problemi e non per crearli — ha detto insediandosi al ministero responsabile del settore Giorgos Stathakis, famiglia di armatori — Qualsiasi cosa faremo, la faremo consultandoci con gli armatori ». La battaglia navale è iniziata ma pure Syriza, per non finire colpita e affondata, ha scelto per ora la strada della prudenza.