Atene assediata

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Già prima che Tsi­pras arri­vasse al governo, men­tre andava deli­nean­dosi sem­pre più net­ta­mente la vit­to­ria di Syriza, la stampa tede­sca aveva comin­ciato a minac­ciare pre­ven­ti­va­mente gravi con­se­guenze e pesanti ritor­sioni. La Bce, l’Fmi, e i governi euro­pei, inde­bi­tati e non, hanno dato pron­ta­mente seguito a que­ste fune­ste pre­vi­sioni. I primi chiu­dendo il rubi­netto, i secondi assen­tendo senza bat­tere ciglio. Senza avere peral­tro idea di come risol­vere i pro­blemi, tutt’altro che mar­gi­nali, con­se­guenti alla pos­si­bile uscita della Gre­cia dall’eurozona, even­tua­lità che tutti assi­cu­rano di voler scongiurare.

Non c’entra l’etica pro­te­stante, né l’espiazione delle «colpe» del debi­tore, e nem­meno la con­ta­bi­lità del Vec­chio con­ti­nente. La que­stione è fino in fondo poli­tica. Quella poli­tica che decide i mec­ca­ni­smi e i vin­coli dell’economia finendo con l’identificarvisi inte­gral­mente. Se governi come quelli ita­liani e fran­cesi, che certo non sono avvan­tag­giati dalle attuali poli­ti­che euro­pee, plau­dono al rigore di Dra­ghi è per­ché pie­gare la Gre­cia rap­pre­senta una mossa deci­siva in difesa del sistema libe­ri­sta, con­cor­ren­ziale e pri­va­tiz­za­tore in cui pie­na­mente si rico­no­scono, «par­lando la stessa lin­gua» di Merkel.

I greci met­tono sul tavolo euro­peo il pro­prio pro­gramma di risa­na­mento e di riforme. Ma è esat­ta­mente quello che la gover­nance euro­pea, pilo­tata da Ber­lino, non vuole. C’è da scom­met­tere che la riforma fiscale ela­bo­rata da Syriza non asso­mi­glierà in nulla a quella pre­vi­sta da Renzi. Che la Gre­cia rie­sca ad uscire in qual­che modo dalle con­di­zioni cata­stro­fi­che in cui versa non è ciò che rileva. Non è il fine che conta, ma i mezzi e cioè le «riforme» in ver­sione Troika.

Que­sti mezzi non pos­sono essere messi in discus­sione per­ché così si apri­rebbe una brec­cia nella dot­trina libe­ri­sta e nel dispo­si­tivo di comando che la incarna a garan­zia della ren­dita finan­zia­ria. Al con­tra­rio, la capi­to­la­zione di Atene (è a que­sto e non a un com­pro­messo che si punta) o il suo soli­ta­rio pre­ci­pi­zio in una crisi ancora più aspra di quella attuale, con inquie­tanti con­se­guenze poli­ti­che, ser­vi­rebbe da cupo monito, in primo luogo per gli spa­gnoli che vanno ingros­sando le fila di Pode­mos. Non è escluso che pro­prio il timore per l’evoluzione della situa­zione spa­gnola spinga Fran­co­forte e Bru­xel­les ad esclu­dere qual­siasi cedi­mento nei con­fronti di Tsipras.

Le rea­zioni da Roma e da Parigi rive­lano quanto fra­gile fosse quell’asse medi­ter­ra­neo, o meri­dio­nale, nel quale molti ave­vano con­fi­dato. Chi paven­tava un «effetto domino» può ora dor­mire sonni tran­quilli. Almeno fino a quando saranno que­sti i governi che ten­gono a bada il sud indebitato.

La Gre­cia, per il momento, è sola a dispetto della sua mai scon­fes­sata volontà euro­pei­sta. Solo le forze sociali, i movi­menti e i sin­da­cati euro­pei pos­sono soste­nere le ragioni di Atene, rico­no­scen­dovi in larga misura le pro­prie. Con il soste­gno dichia­rato al nuovo corso elle­nico e met­tendo sotto pres­sione quelli che «par­lano la lin­gua di Schaeu­ble e Merkel».



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