RIO DE JANEIRO La fine violenta del suo principale accusatore non salva Cristina Kirchner. Da ieri la presidente argentina è formalmente sotto accusa nel caso Iran-Amia, sospettata cioè di aver coperto i responsabili della strage alla comunità ebraica del 1994. A portare avanti la denuncia preparata da Alberto Nisman — il magistrato trovato morto lo scorso 18 gennaio — è il suo collega Gerardo Pollicita. Sono centinaia di pagine quelle lasciate da Nisman, e la sua morte improvvisa non ha fermato l’indagine. Insieme alla Kirchner, sono accusati il ministro degli Esteri Héctor Timerman e altri tre pezzi grossi dell’attuale potere argentino. Secondo Nisman (e ora il suo successore) il governo di Cristina avrebbe messo in piedi un accordo segreto con Teheran: in cambio di un accordo commerciale — forniture di petrolio a prezzi di favore e vendita di grano — l’Argentina avrebbe desistito dalla pista iraniana sul caso Amia ed evitato di chiedere l’estradizione dei supposti responsabili. Un insabbiamento di Stato, insomma. Sulla strage che provocò la morte di 85 persone a Buenos Aires esiste difatti una quasi verità giudiziaria: sarebbe stata organizzata da funzionari dell’ambasciata iraniana e messa in pratica da un kamikaze di Hezbollah, con una autobomba. Quattro iraniani, poi fuggiti in patria, avrebbero dovuto essere chiamati a risponderne.
L’impianto accusatorio di Nisman contro la Kirchner è noto dallo scorso 14 gennaio. Quattro giorni dopo il magistrato avrebbe dovuto riferirne in Parlamento, se non fosse stato trovato morto nel bagno del suo appartamento, con un colpo di pistola alla tempia. La fine di Nisman è ancora un mistero. Il governo ha tentato di far passare la tesi del suicidio, poi davanti all’improbabilità ha cambiato versione. La Kirchner crede a un complotto di servizi segreti deviati contro di lei, prima attraverso le «menzogne» di Nisman poi organizzandone la morte. Ieri la «presidenta» non ha commentato l’apertura dell’inchiesta — è in vacanza in Patagonia, dove intende festeggiare il suo 62esimo compleanno — mentre il suo braccio destro Anibal Fernandez parla di «manovra di destabilizzazione democratica». In termini giuridici, dice la Casa Rosada, la messa in accusa del capo di Stato «non ha alcun valore né importanza» e serve solo a provocare clamore nella società. L’opposizione parla invece di «grave situazione istituzionale», considerando che anche il vice della Kirchner, Amado Boudou, è sotto inchiesta per uno scandalo di alcuni anni fa.
A questo punto assume una importanza ancora maggiore la manifestazione del prossimo 18 febbraio, nelle strade di Buenos Aires. Ideata da cinque magistrati amici di Nisman, e battezzata «marcia del silenzio», prevede una sfilata dal Congresso alla Plaza de Mayo in occasione del primo anniversario della morte del giudice. «Affinché il silenzio rappresenti la pace di cui abbiamo bisogno. Contro l’impunità e a favore della verità», hanno scritto i giudici, tutti convinti che Nisman non si sia tolto la vita. Ma i giorni passano, la vicenda non cessa di essere al centro della vita argentina, e la manifestazione del 18 sta crescendo di significato. I principali leader dell’opposizione hanno confermato la loro presenza «a titolo personale» o «come cittadini». Ci saranno quindi i pretendenti alla successione della Kirchner come Mauricio Macri, sindaco di Buenos Aires, Sergio Massa, Elisa Carriò e Julio Cobos. Il governo ha cercato di sminuire l’importanza dell’evento, disprezzando gli organizzatori, ma c’è chi ritiene che una partecipazione di massa potrebbe dare una spallata definitiva alla «presidenta», sempre più isolata e in difficoltà.
Rocco Cotroneo