Anche in Lettonia lo spettro di una secessione filo-Mosca
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BRUXELLES Prima, da anni, le bandiere della Federazione russa, ormai visione comune da quelle parti, e cioè nell’Est della Lettonia. Poi, da qualche mese, nei cortei sempre più frequenti, i vessilli della cosiddetta Repubblica popolare ucraina di Donetsk, visione meno comune e legata a immagini di guerra. Poi ancora, da qualche settimana, gli attivisti che in certe zone vanno di scuola in scuola a propagandare un referendum come in Crimea, e l’annessione alla madre-patria russa. E gli appelli su Facebook, bloccati dalla polizia, che invocano l’aiuto di Putin, la secessione aperta. Infine, da qualche giorno, segnalazioni trapelate probabilmente non per caso dai servizi segreti, che parlano della costituzione sul terreno di milizie private filo-Cremlino. E in cielo, i caccia russi che vanno e vengono, sfiorando lo spazio aereo altrui.
Questa è oggi la Lettonia, o almeno una parte di essa, dove la tensione legata agli eventi dell’Ucraina Orientale continua a crescere di giorno in giorno. La stessa Lettonia che rappresenta tutte insieme diverse cose importanti.
È membro della Nato, da sempre vicina agli Usa, oltre che presidente di turno dell’Unione Europea.
Poi, il suo governo sostiene apertamente quello ucraino nello scontro con Mosca. Ma ha dentro i suoi confini la più folta — e sempre più inquieta, per le discriminazioni di cui si dice vittima — minoranza russa di tutto il Baltico: parla infatti russo circa un quarto della popolazione nazionale, ma questa cifra sfiora il 54% a Daugvapils, capoluogo della Letgallia, la regione sui confini russi e bielorussi storicamente più legata a Mosca.
Il sindaco di Daugvapils è il leader di un partito, l’«Unione Russa», che unico fra tutti ha riconosciuto l’annessione della Crimea da parte di Putin. Nella vicina enclave russa di Kaliningrad (l’antica Koenigsberg tedesca) Mosca ha dispiegato i suoi missili nucleari a corto raggio «Iskander», giudicati capaci di raggiungere anche la Germania: ufficialmente lo ha fatto in risposta al rafforzamento delle forze missilistiche Nato, ma la Nato sostiene il contrario, e questi «scaricabarile» non facilitano la distensione.
È come se in questa parte del mondo si stia attivando un processo già noto, anzi quasi tragicamente obbligato. La Letgallia è una terra bellissima e pacifica, coperta di boschi e di laghi, ha meno di 300 mila abitanti che per il 40%, fuori dal capoluogo, parlano il russo: le loro radio e i loro giornali, sempre più spesso, disegnano il ritratto di un’etnia culturalmente ed economicamente discriminata da Riga.
Finora, le proteste sono sempre state civili. Ma anche il governo lettone dà segni di nervosismo.
E anche a Sebastopoli, e a Donetsk, all’inizio le proteste erano civili.
Luigi Offeddu
È membro della Nato, da sempre vicina agli Usa, oltre che presidente di turno dell’Unione Europea.
Poi, il suo governo sostiene apertamente quello ucraino nello scontro con Mosca. Ma ha dentro i suoi confini la più folta — e sempre più inquieta, per le discriminazioni di cui si dice vittima — minoranza russa di tutto il Baltico: parla infatti russo circa un quarto della popolazione nazionale, ma questa cifra sfiora il 54% a Daugvapils, capoluogo della Letgallia, la regione sui confini russi e bielorussi storicamente più legata a Mosca.
Il sindaco di Daugvapils è il leader di un partito, l’«Unione Russa», che unico fra tutti ha riconosciuto l’annessione della Crimea da parte di Putin. Nella vicina enclave russa di Kaliningrad (l’antica Koenigsberg tedesca) Mosca ha dispiegato i suoi missili nucleari a corto raggio «Iskander», giudicati capaci di raggiungere anche la Germania: ufficialmente lo ha fatto in risposta al rafforzamento delle forze missilistiche Nato, ma la Nato sostiene il contrario, e questi «scaricabarile» non facilitano la distensione.
È come se in questa parte del mondo si stia attivando un processo già noto, anzi quasi tragicamente obbligato. La Letgallia è una terra bellissima e pacifica, coperta di boschi e di laghi, ha meno di 300 mila abitanti che per il 40%, fuori dal capoluogo, parlano il russo: le loro radio e i loro giornali, sempre più spesso, disegnano il ritratto di un’etnia culturalmente ed economicamente discriminata da Riga.
Finora, le proteste sono sempre state civili. Ma anche il governo lettone dà segni di nervosismo.
E anche a Sebastopoli, e a Donetsk, all’inizio le proteste erano civili.
Luigi Offeddu
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