by redazione | 19 Febbraio 2015 11:03
Iniziamo decostruendo tutte le esagerazioni che sono state propinate dai media di mezzo mondo sullo Stato islamico: è a Sirte, a Parigi, a sud di Roma. Ieri era anche tra i barconi di disperati che affondano in mare, o in «tutto il Mediterraneo», come ha rincarato Abdel Fattah al-Sisi. Insomma i jihadisti sarebbero dovunque o forse da nessuna parte.
A questo punto se sbarcassimo a Derna con una bandiera anche noi potremmo dire di essere Isis e nessuno ci potrebbe contraddire.
Per questo, l’attacco egiziano è un’aggressione unilaterale senza nessuna legittimità (come lo è stata l’uccisione dei jihadisti in prigione e gli attacchi della Giordania alla Siria dopo l’esecuzione del pilota giordano nelle mani dei jihadisti).
«Quella di al-Sisi non è un’azione militare seria: è uno show», spiega in un’intervista al manifesto Roger Owen, docente di Harvard, uno dei massimi conoscitori di Medio oriente al mondo. «Chi sono i jihadisti di Isis in Libia? Il paese è pieno di contrabbandieri e criminali. Ma questo attacco serve ad al-Sisi per cementare l’opinione pubblica egiziana in vista delle elezioni», considera. Secondo alcuni sondaggi l’80% della popolazione in Egitto approva l’attacco in Libia.
«La strategia è quella napoleonica: crei un nemico esterno, lo attacchi e la gente si stringerà intorno a te. Al-Sisi è il poliziotto del Nord-Africa. Ora ogni Stato è libero di farsi giustizia da sé: questa strategia è stata malauguratamente inaugurata con gli attacchi degli Stati uniti in Iraq del 2003», considera lo storico.
In questo vuoto politico, in cui tutti dicono di voler fare qualcosa ma nessuno fa niente, si iscrive l’attacco egiziano alla Libia. Ieri al-Sisi è passato dai bombardamenti aerei all’invio di truppe di terra che hanno raggiunto la città di Derna, controllata da jihadisti yemeniti in accordo con la milizia 17 febbraio. 155 estremisti sono stati uccisi e 55 sono stati arrestati. L’ex generale ha fatto poi visita al quartier generale dell’esercito lungo il confine con la Libia, accompagnato dal suo compagno di Accademia militare e ministro della Difesa, Sedki Sobhy.
Al-Sisi, novello Bonaparte, ha arringato e motivato i comandanti dell’esercito, passando in rassegna le truppe dispiegate lungo il confine per esaltare «la formidabile rapidità di risposta contro Isis», dimostrata dai militari egiziani.
Il quotidiano filo-governativo Al-Ahram ha pubblicato immagini, in perfetto stile propaganda bellica, di al-Sisi e dei comandanti dell’esercito mentre esaminano sulle cartine le posizioni di «Isis» in Libia.
Il presidente egiziano ha anche incontrato alcuni leader tribali locali per discutere di una possibile collaborazione strategica «nella lotta al terrorismo», con pattugliamenti del confine per tenere sotto controllo il continuo contrabbando di armi ai miliziani islamisti libici, Scudo di Misurata, che appoggiano il parlamento di Tripoli.
Le forze armate egiziane hanno poi rafforzato le misure di sicurezza al confine libico dove continua il flusso delle decine di migliaia di lavoratori egiziani, evacuati dal paese.
Il timore delle autorità è di possibili rappresaglie dopo gli attacchi egiziani che hanno fatto seguito al terribile sgozzamento di 21 copti sulle spiagge di Sirte. Secondo il quotidiano libico, al-Mostaqbal, i copti sarebbero stati uccisi due settimane prima della diffusione del video e il comandante dell’operazione sarebbe «un britannico di madre libica». Gli esecutori sarebbero combattenti di Ansar al-Sharia, gruppo responsabile dell’uccisione dell’ambasciatore degli Stati uniti Chris Stevens a Bengasi nel 2012.
Le autorità egiziane avrebbero anche imposto nella giornata di ieri una no-fly zone sui cieli egiziani per velivoli dell’esercito libico.
L’aeroporto di Mitiga avrebbe denunciato il rientro in Libia di un volo diretto ad Istanbul a causa dell’imposizione della no-fly zone. Il ministro dell’aviazione egiziana, Hossam Kamal, ha però definito la notizia priva di fondamento.
In vista della riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite sulla crisi libica in corso in queste ore, i governi di Stati uniti, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Italia e Germania in una lettera congiunta hanno condannato gli atti di terrorismo in Libia e sottolineato la necessità di una soluzione politica alla crisi.
Secondo il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukry (che ha criticato Francia e Gran Bretagna per aver lasciato la Libia dopo gli attacchi della Nato del 2011), Egitto e Giordania avrebbero intenzione di non chiedere un intervento Onu ma di includere nella risoluzione la fine all’embargo della vendita di armi al governo di Tobruk di Abdallah al-Thinni. Questo significherebbe esacerbare inesorabilmente lo scontro tra le fazioni libiche, già armate fino ai denti. Il testo chiederebbe inoltre «maggiori controlli via mare per prevenire la consegna di armi» ai miliziani islamisti.
Se queste indiscrezioni passassero si aprirebbe la strada al totale sostegno internazionale ad Haftar e si metterebbe una pietra sul negoziato. La «soluzione politica» tanto decantata da Gentiloni (che pure non ha escluso una possibile missione di peace-keeping a guida italiana) sarebbe così archiviata per sempre.
Il tentativo del mediatore delle Nazioni unite, Bernardino Leon di far sedere ad un tavolo gli islamisti di Omar al-Hassi e i militari di Khalifa Haftar salterebbe senza alcun dubbio.
Da parte loro, le milizie islamiste di Tripoli, dopo gli attacchi a Tobruk di martedì e l’avanzata verso la città di confine tra Tripolitania e Cirenaica, Sirte, il cui centro è stato in mano ai jihadisti per pochi giorni, hanno bombardato la base militare di Zintan.
I Zintani sono tra i più fervidi sostenitori di Haftar. Infine, anche il capo di gabinetto di Omar Al-Hassi, Mohamed Abdel Al Missawi, è stato arrestato dai militari a Bayda con accuse di spionaggio.
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