Yemen nel caos, le aree sunnite «secedono»

Yemen nel caos, le aree sunnite «secedono»

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Lo Yemen è nel caos del vuoto poli­tico, le isti­tu­zioni crol­lano come un castello di carte. Gio­vedì sera, a poche ore dall’accordo tra ribeli Hou­thi e pre­si­dente Hadi, il pre­mier Baha ha pre­sen­tato le dimis­sioni, seguito a ruota dallo stesso Hadi. Una rea­zione det­tata dalla per­ce­zione della scon­fitta subìta prima con l’occupazione sciita dei cen­tri del potere e poi cedendo alle pres­sioni della mino­ranza che da set­tem­bre con­trolla la capi­tale Sana’a e si oppone alla divi­sione fede­rale del paese.

«Ritengo di non essere stato in grado di rag­giun­gere gli obiet­tivi per cui ho assunto l’incarico – ha detto Hadi – i lea­der poli­tici hanno fal­lito nel con­durre il paese verso acque più calme». Una voce a cui si aggiunge quella del pre­mier dimis­sio­na­rio Baha: «Non siamo respon­sa­bili di azioni com­messe da altri».

Quat­tro pro­vince sun­nite meri­dio­nali (il vec­chio Yemen del sud, indi­pen­dente fino al col­lasso dell’Unione Sovie­tica), com­presa Aden, sede di porto e aero­porto, hanno rispo­sto alle dimis­sioni annun­ciando l’intenzione di non pren­dere più ordini da Sana’a, né poli­tici né mili­tari. Una sorta di seces­sione uffi­ciosa, forma di pro­te­sta per quello che riten­gono un ten­ta­tivo di golpe degli Hou­thi, che senza governo né pre­si­dente pos­sono det­tare legge nella capitale.

Per ora il par­la­mento ha riget­tato le dimis­sioni di Hadi e annun­ciato per domani un mee­ting d’urgenza. «Le dimis­sioni restano in sospeso» fino al voto a mag­gio­ranza asso­luta dei par­la­men­tari, ha com­men­tato uno dei lea­der di Ansral­lah, par­tito poli­tico espres­sione degli sciiti, che ha chia­mato ieri i pro­pri soste­ni­tori a scen­dere in strada per chie­dere l’assunzione di misure d’emergenza.

E men­tre le isti­tu­zioni yeme­nite, figlie dell’influenza Usa e Onu, sven­to­la­vano ban­diera bianca, ieri due esplo­sioni risuo­na­vano a poca distanza dalle abi­ta­zioni di due lea­der Hou­thi, nella capi­tale. Nes­sun ferito, ma subito la mente è andata ad al-Qaeda, che in Yemen ha una delle sue roccaforti.

Dall’altra parte dell’oceano, la crisi yeme­nita disturba i sonni dell’amministrazione Washing­ton: da gio­vedì gli Usa stanno tra­sfe­rendo lo staff dell’ambasciata, secondo un piano di eva­cua­zione orga­niz­zato dal Pen­ta­gono che ha spo­stato due navi da guerra sul Mar Rosso.

Il timore che assilla Obama è il col­lasso del pro­gramma di raid aerei con­tro posta­zioni e mili­ziani qae­di­sti. Gli Stati uniti hanno fatto bella mostra dello Yemen negli ultimi sei anni, modello alla stra­te­gia mili­tare dei droni, una guerra a distanza senza sti­vali sul ter­reno che ha ucciso cen­ti­naia di mili­ziani ma anche un numero ele­vato di civili, senza mai fre­nare al Qaeda. E ora, inca­paci di pre­ve­dere una tale crisi, tre­mano per una pos­si­bile avan­zata del movimento.

Non è impos­si­bile pen­sare che gli Hou­thi ven­gano assunti – anche se non uffi­cial­mente – a nuovo part­ner locale: soste­nuti dall’Iran, non godono certo delle sim­pa­tie sta­tu­ni­tensi e sau­dite, ma al pari di Washing­ton con­si­de­rano al-Qaeda il nemico numero uno alla sta­bi­lità dello Yemen. Inol­tre ripe­tono da tempo di non voler gui­dare il paese, ma con­di­vi­dere il potere con il resto delle fazioni poli­ti­che, con­sa­pe­voli di avere il con­trollo del nord e dell’ovest, ma non del sud e dell’est dove l’autorità è eser­ci­tata dalle tribù sun­nite vicine al par­tito Islah e da al-Qaeda.
Die­tro, la par­ti­zione de facto dello Yemen e lo spet­tro dell’ex dit­ta­tore Saleh, legato agli Hou­thi e forse pronto a rien­trare per la fine­stra: secondo l’attuale costi­tu­zione, l’incarico ad inte­rim di pre­si­dente va allo spea­ker del par­la­mento, al-Raj, molto vicino al Saleh.



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