La troika vede «rosso»

La troika vede «rosso»

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Hai voglia a pen­sare che la Ger­ma­nia si pre­para a gestire con qual­che con­ces­sione con­cor­data il nuovo corso greco, a soste­nere che tutto som­mato Ale­xis Tsi­pras non ha un pro­gramma così radi­cale da met­tere in agi­ta­zione l’euroburocrazia e che a sdo­ga­nare la coa­li­zione della sini­stra radi­cale che vuole cam­biare rotta all’Europa ci hanno pen­sato già auto­re­voli com­men­ta­tori inter­na­zio­nali. La verità è che l’establishment con­ti­nen­tale ha grosse dif­fi­coltà ad accet­tare la sem­pre più pro­ba­bile vit­to­ria di Syriza alle ele­zioni di dome­nica pros­sima in Grecia.

Ne è testi­mo­nianza l’intervento a gamba tesa di Jean Claude Junc­ker, il secondo dall’inizio della cam­pa­gna elet­to­rale. «Il governo che uscirà dalle urne gre­che dovrà rispet­tare gli impe­gni presi da Atene e pro­se­guire nelle riforme e nella respon­sa­bi­lità finan­zia­ria», ha detto il Pre­si­dente della Com­mis­sione Euro­pea. Non da meno è stata Chri­stine Lagarde: «Un debito è un debito ed è un con­tratto», ha detto la numero del Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale in un’intervista all’Irish Times.
Nella migliore delle ipo­tesi, ci tro­viamo di fronte alla troika che ha gover­nato di fatto la Gre­cia negli ultimi anni che scende in campo per fer­mare il «peri­colo rosso» e riba­dire che le poli­ti­che di auste­rità pos­sono cono­scere qual­che minimo aggiu­sta­mento ma non vanno messe in discussione.

Nella più inno­cua delle valu­ta­zioni, si mette in evi­denza come Junc­ker e il pre­mier greco uscente Anto­nis Sama­ras appar­ten­gano alla stessa fami­glia poli­tica euro­pea, quella dei popo­lari con­ser­va­tori, ed è com­pren­si­bile che il primo possa andare in soc­corso al secondo in dif­fi­coltà. Non ren­den­dosi conto, tra l’altro, di for­nire un’arma mici­diale pro­prio ad Ale­xis Tsi­pras, che vede cre­scere i con­sensi a ogni ester­na­zione del con­te­stato ex primo mini­stro lussemburghese.

Nella peg­giore delle inter­pre­ta­zioni, invece, le parole di due mas­simi espo­nenti della troika su tre (solo Mario Dra­ghi si è finora sag­gia­mente aste­nuto dall’intervenire), appa­ren­te­mente fel­pate ma nella sostanza con pochi mar­gini di mano­vra lasciati all’interlocutore, pos­sono essere letti come un avver­ti­mento a Tsi­pras. Sem­brano dir­gli che ad Atene non ver­ranno fatti sconti di alcun tipo e il nuovo governo verrà sop­por­tato solo a patto che accetti di essere ete­ro­di­retto. In buona sostanza, abban­doni ogni vel­leità di cam­biare poli­ti­che nel suo Paese, men che meno di pro­vare a costruire un’alternativa poli­tica sul livello con­ti­nen­tale. In cam­bio avrà garan­tito quel prestito-trappola che alla fine di feb­braio rischia di far sal­tare i conti della malan­data peni­sola ellenica.

Cosa acca­drà se non dovesse andare come auspi­cano i soste­ni­tori dell’austerità nes­suno lo dice. Atene finirà fuori dall’euro o cos’altro? In Gre­cia ricor­dano benis­simo quel che avvenne quando Geor­gios Papan­dreou decise di chie­dere al popolo cosa ne pen­sava del piano di ristrut­tu­ra­zione lacrime e san­gue impo­sto dall’Europa: l’allora pre­mier socia­li­sta fu costretto a riti­rare la pro­po­sta di refe­ren­dum e la demo­cra­zia se ne andò a farsi bene­dire. Forse è troppo ipo­tiz­zare che da lunedì a Bru­xel­les e al Fmi si possa pen­sare di non tener conto della volontà della mag­gio­ranza dei greci. Eppure è pro­prio quello che Junc­ker e Lagarde sem­brano volerci dire.


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