Ventitré secondi per chiedere al governo italiano di intervenire al più presto per avere salva la vita: il 2015 si apre con una svolta nel caso delle due giovani cooperanti italiane rapite in Siria lo scorso 31 luglio. In un video pubblicato dai miliziani-carcerieri, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo – vestite di nero e con il capo coperto – fanno appello a Roma: «Supplichiamo il nostro governo e i loro mediatori di riportarci a casa prima di Natale. Siamo in grave pericolo, possiamo essere uccise. Governo e mediatori sono responsabili delle nostre vite».
Nelle ore successive all’apparizione del video (che sarebbe stato girato il 17 dicembre, come indica il cartello tenuto in mano da una delle due cooperanti), le autorità italiane hanno cercato di prendere tempo in attesa di verificarne la veridicità. Ieri pomeriggio ad intervenire però sono stati i servizi segreti che hanno chiesto massimo riserbo per poter «lavorare in silenzio in una fase delicatissima».
Vanessa e Greta sono scomparse ad Abizmu, vicino Aleppo, tre giorni dopo aver attraversato il confine con la Turchia. Sarebbero state rapite dal gruppo qaedista Fronte al-Nusra, attivo in Siria e da poco legatosi all’Isis da un patto di non aggressione. Uno dei leader di al-Nusra, Abu Fadel, ieri ha confermato all’agenzia tedesca Dpa che i suoi miliziani hanno in mano due donne italiane perché il paese «sostiene tutti gli attacchi contro di noi in Siria».
La strategia dei rapimenti di occidentali, ma anche di siriani e iracheni, è tra le più usate dai gruppi islamisti nell’area. Con un obiettivo che è solo parzialmente volto alla pressione politica sui governi impegnati nella campagna anti-Isis. Ad interessare i gruppi qaedisti sono da una parte la forza del messaggio di propaganda che arriva a nuovi potenziali adepti; e dall’altra i consistenti riscatti che molte capitali europee pagano sottobanco e lontano dai riflettori per avere indietro propri cittadini. Un’entrata difficile da quantificare, ma nell’ordine di milioni di dollari. E chi non paga – Gran Bretagna e Stati uniti in testa – si ritrova con ostaggi barbaramente uccisi.
In alcuni casi i rapimenti diventano merce di scambio. È il caso dei 25 soldati e poliziotti libanesi catturati da al-Nusra ad agosto dopo una dura offensiva contro Arsal, città libanese al confine con la Siria. I 25 militari potrebbero essere ora nelle mani del califfo al-Baghdadi: ieri il salafita Sheikh al-Masri, mediatore tra Beirut e al-Nusra e Isis, ha portato alle autorità del Paese dei Cedri il messaggio degli islamisti: gli ostaggi saranno giustiziati se Beirut non rilascia subito l’ex moglie di al-Baghdadi, Saja al-Dulaimi, e la moglie del comandante di al-Nusra Anas Sharkas.
Ma l’Isis punta a ben altro: libertà di movimento al confine. Attraverso al-Masri, il califfo ha chiesto la creazione di una zona demilitarizzata per i rifugiati siriani, nella regione di frontiera Wadi Hmeid, dalla città di Tfeil a quella di Arsal; l’apertura di ospedali civili per feriti durante combattimenti contro Hezbollah; e il rilascio delle donne nelle prigioni libanesi. E se Beirut per ora non reagisce, a parlare sono le famiglie dei 25 militari catturati, da tempo furiose con il proprio governo per l’incapacità di venire a capo della questione: «Rigettiamo la richiesta di una zona libera per i rifugiati siriani – ha detto il portavoce delle famiglie, Omar Haidar – Ciò significa che nemmeno l’esercito potrebbe entrare nell’area».
A monte sta l’enorme potere che l’Isis – insieme ai suoi alleati qaedisti – si è ritagliato nella regione. In soli sei mesi, il controllo assunto su un terzo dell’Iraq e il nord-est della Siria e la capacità di poter liberamente minacciare governi e regimi arabi – dal Libano alla Giordania fino all’Arabia Saudita, “madre” ripudiata – rafforza il messaggio propagandistico dello Stato Islamico, anche a causa delle estreme difficoltà che la coalizione ha nel frenarne l’avanzata. Una violenza espressa dai numeri: nel 2014 in Iraq e Siria il numero di civili uccisi nel 2014 è raddoppiato rispetto all’anno precedente. Furono 9.743 gli iracheni morti due anni fa, 15.532 mila nel 2014; oltre 76mila in Siria quest’anno, 34mila nel 2013.