Fino ad oggi hanno funzionato poco e male, lo dicono i numeri forniti dall’ispettorato della Funzione Pubblica. Nel 2013 (ultimi dati disponibili) per portare a termine un provvedimento disciplinare ci sono voluti in media 102 giorni (78 nel 2011). Su settemila dossier avviati, il licenziamento, ovvero la sanzione più grave, ha riguardato 220 casi. «Obbligare a certezza e rapidità, responsabilizzando sui tempi chi dovrà applicare le norme: è questo che oggi manca e questo sarà il miglior deterrente possibile contro le infrazioni» sottolinea Giorgio Pagliari, il relatore del ddl sulla pubblica amministrazione che ha presentato gli emendamenti in commissione Affari costituzionali al Senato.
L’obiettivo delle modifiche volute dal governo, dunque, è quello di rendere più facili sia i licenziamenti disciplinari che quelli per scarso rendimento (per i quali oggi si prevedono valutazioni e giudizi di inefficienza per almeno due anni). Di pari passo con la certezza dei tempi sui provvedimenti disciplinari, arriverà la stretta sulle assenze dei dipendenti pubblici per malattia: Pagliaro ha presentato anche un emendamento che riorganizza i controlli affidandoli all’Inps (oggi li effettua l’Asl), istituto al quale dovranno quindi essere trasferiti fondi attualmente versati alle regioni. Altra novità riguarda i dirigenti: una proposta di modifica ad hoc fissa «il superamento degli automatismi nel percorso di carriera e la costruzione dello stesso in funzione degli esiti della valutazione». Procedere per merito, insomma, applicando i criteri che dovrebbero far fede nel privato. A differenza del privato, però il Jobs act nel settore pubblico non si applica: lo ha ripetuto ieri il ministro della Pa, Marianna Madia, precisando che, riguardo alla possibilità di esplicitare tale esclusione «si valuterà nella forma cosa è meglio fare». Sulla riforma del lavoro appena varata è intervenuto via Facebook e Twitter anche il premier Renzi, scrivendo «cosa cambia per chi vuole assumere» e allegando un grafico sulla riduzione del cuneo fiscale e gli sgravi contributivi introdotti dal Jobs Act. L’esempio che si fa è quello di un lavoratore a tempo indeterminato con reddito annuo lordo di 24 mila euro: in busta paga, secondo il grafico, guadagnerà non più 1.308 euro, ma 1.483.