Sfilano i leader, manca solo Obama: una “catena umana” di capi di Stato

by redazione | 12 Gennaio 2015 9:23

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PARIGI. «JE SUIS Charlie!», urla un bambino dalla finestra di un palazzo che affaccia su Boulevard Voltaire. Avrà al massimo sei anni. I leader del pianeta giunti a Parigi per la marcia repubblicana si voltano, lo applaudono. Poi sul corteo torna ad aleggiare il silenzio. È una giornata così, storica, senza retorica, senza cerimoniale, di emozioni alle quali nemmeno gli uomini più potenti del mondo sono impermeabili. Già, anche un duro come il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov lo ammette con più di un collega: «Non dimenticherò mai quanto ho vissuto oggi». In testa al corteo i capi di Stato e di governo formano una catena umana, alcuni si commuovono, altri sono impassibili, travolti da quanto sta accadendo intorno a loro in una Parigi multietnica ferita dalle stragi jihadiste ma pronta a stringersi intorno ai valori repubblicani.
Sono una cinquantina i leader di tutti i continenti che tra mezzogiorno e le due del pomeriggio arrivano all’Eliseo. A riceverli trovano François Hollande, senza cappotto, in cima alla scalinata che chiude il cortile del palazzo presidenziale. Con la Merkel e Renzi l’abbraccio più sentito. I grandi del mondo — mancano solo Putin e Obama, criticato dalla stampa Usa per non avere mandato Biden o Kerry ma solo l’ Attorney General Eric Holder — si riversano nel grande salone a sinistra dell’ingresso che mano a mano si riempie. Ci sono quasi 200 persone tra leader, ministri degli Esteri, degli Interni (hanno appena terminato un summit d’emergenza con Holder) e delegazioni. In molti nemmeno si conoscono, ma si mescolano, si presentano, non c’è protocollo, per la macchina organizzativa francese ricevere tanti ospiti all’improvviso è uno sforzo immane. Sotto gli stucchi e gli ori del salone c’è un buffet: camembert, tartine, succhi di frutta e caffè. I leader non si sono ancora calati del tutto nell’atmosfera di una Parigi scossa dalla doppia strage di Charlie Hebdo e del supermercato ebraico, chiacchierano piuttosto distesi.
Poco dopo le due del pomeriggio le delegazioni vengono caricate su quattro pullman per raggiungere Boulevard Voltaire, quello dei capi di Stato e di governo è nero, a due piani, con i vetri oscurati. I posti non sono assegnati, ognuno si siede dove capita. All’andata Renzi è con Valls, al ritorno con Cameron. I leader guardano fuori dal finestrino e si emozionano: la gente li sta applaudendo. Quando arrivano a destinazione colgono il senso più profondo della giornata e sprofondano nella commozione. La sicu- rezza è approssimativa, nonostante i tentativi delle forze di polizia di far chiudere le finestre e sgomberare i balconi, dai palazzi sono tutti affacciati a battere le mani. Lo stesso avviene quando incrociano una traversa del boulevard. I parigini sono rassicurati dalla presenza dei grandi del mondo, gli sono grati e nel momento della difficoltà finiscono quasi con l’identificarsi con loro.
Si forma la prima fila del piccolo corteo, alla testa, ma staccato per ragioni di sicurezza, dal resto della folla che converge verso Place de la Nation. Al centro si posiziona Hollande: il “presidente normale” è emozionato, scosso. Dietro di lui Sarkozy e Carla Bruni. Alla sua destra Juncker e Cameron, a sinistra la Merkel e Renzi. Si tengono tutti a braccetto, formando una catena umana. Le posizioni durante la marcia, un chilometro abbondante percorso in mezz’ora, si scambieranno proprio perché tutto avviene in modo spontaneo. In molti si commuovono, fino alle lacrime, tra consiglieri, portavoce e ministri. Il destino vuole che il leader israeliano Benjamin Netanyahu e il capo dell’Anp Abu Mazen ad un certo punto si sfiorino, dietro di loro ci sono i reali di Giordania. Ma i due non si rivolgono la parola, tanto meno si stringono la mano. Netanyahu, in piena campagna elettorale, incassa di fronte ad Abu Mazen diversi incoraggiamenti in ebraico che si levano dalla folla: una donna gli strappa un sorriso quando urla «Bibi, Bibi!».
È un corteo silenzioso al suo interno, è impressionante quanto sia muto, tanto che a fine giornata è la prima cosa che chiunque fosse lì racconterà a chi non c’era. La gente però allo sfilare dei leader scatta foto con i cellulari e li incita. Da una traversa una piccola folla intona la Marsigliese, le persone ai balconi e al bordo della strada dietro le transenne li segue e l’inno francese sale, rimbomba per tutto il boulevard creando una tale atmosfera che i leader si fermano e si mettono quasi sull’attenti fino alla fine del canto. Almeno per un giorno in un continente sempre più tentato dall’antipolitica e dai populismi è questo il senso di unità provocato dalle mattanze dei fratelli Kouachi e del loro amico Coulibaly. I leader mentre camminano salutano la gente alle finestre.
Nel gruppo ad eccezione di Marine Le Pen c’è tutta la classe politica francese di ieri e di oggi. Oltre a Renzi dall’Italia sono arrivati Prodi, che non ha viaggiato sul volo di Stato con il premier, Gentiloni, Alfano, Gozi e Fassino. C’è anche Monti, ma non è tra le autorità: l’ex premier partecipa alla marcia da privato cittadino, confondendosi tra la folla.
Percorso un bel tratto di Boulevard Voltaire il corteo dei leader si ferma e osserva un minuto di silenzio. Hollande bacia tutti i colleghi in prima fila, Juncker gli stampa le labbra sulle gote, Cameron lo conforta, la Merkel lo abbraccia. Mentre il presidente francese continua la sua marcia tra la folla parigina, tutti gli altri tornano all’Eliseo. In cortile qualcuno di loro parla davanti alle telecamere, altri preferiscono tacere. Così come erano arrivati, ad uno ad uno, risalgono sulle auto e filano verso l’aeroporto. Alla fine di una giornata storica, sincera e straziante, a strappare un sorriso a tutti è la biondissima premier danese Ellen Thorning Schmidt: inciampa e ruzzola giù dalla scalinata dell’Eliseo. Non si è fatta nulla, siguarda intorno e ride.
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