«Serve una rinascita morale di Roma» La scossa del Papa dopo Mafia Capitale
by redazione | 2 Gennaio 2015 11:34
CITTA’ DEL VATICANO Pungolante per tutti, trafiggente per i romani il messaggio di fine anno di papa Francesco: un’invettiva in linguaggio biblico sulle vergogne di «Mafia Capitale» e un’invenzione linguistica per dire l’osceno degrado della Capitale, pervasa da un’impensabile criminalità che lucra sui più deboli costretti a «mafiarsi».
Ultimo dell’anno, tempo di «esame di coscienza» ha detto Francesco mercoledì sera, 31 dicembre, al Te Deum in San Pietro, andando difilato a ciò che scotta, lo scandalo delle cooperative romane che sfruttavano i più indifesi tra gli ultimi: «Le gravi vicende di corruzione, emerse di recente, richiedono una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale, come pure per un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale, dove i poveri, gli emarginati devono essere al centro delle nostre preoccupazioni, del nostro agire quotidiano».
Il riferimento alle cooperative profittatrici è esplicito: «È necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra città, che occorre difendere i poveri e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli».
«Ripensiamo alle nostre mancanze e ai nostri peccati» ha detto con il volto severo che abbiamo imparato a conoscere e che non è meno frequente del volto ilare con cui saluta le folle e bacia i bambini.
Ed ecco le parole più dure, sempre rivolte ai romani e rese vive da un neologismo che porta l’attenzione sull’aspetto più disumano delle mafie, che è quello del reclutamento dei disperati: «Quando una società ignora i poveri, li perseguita, li criminalizza, li costringe a mafiarsi, quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà e preferisce l’aglio e le cipolle della schiavitù, della schiavitù del suo egoismo, della schiavitù della sua pusillanimità e quella società cessa di essere cristiana».
Il monito a una società che cessa di essere cristiana è di estrema provocazione, ma Francesco «essendo anche Vescovo di Roma» — come ha detto — l’ha voluto ulteriormente rafforzare con questa interrogazione: «Dunque domandiamoci: in questa città, in questa Comunità ecclesiale, siamo liberi o siamo schiavi, siamo sale e luce? Siamo lievito? Oppure siamo spenti, insipidi, ostili, sfiduciati, irrilevanti, stanchi?».
Il riferimento all’aglio e alle cipolle è un rimando al Roberto Benigni dei Dieci Comandamenti (due puntate televisive del 15 e 16 dicembre su Rai1 ), così rievocato da Bergoglio senza fare il nome di Benigni: «Diceva qualche giorno fa un grande artista italiano che per il Signore fu più facile togliere gli israeliti dall’Egitto che l’Egitto dal cuore degli israeliti. Erano stati, sì, liberati materialmente dalla schiavitù, ma durante la marcia nel deserto con le varie difficoltà e con la fame cominciarono a provare nostalgia per l’Egitto quando ‘mangiavano cipolle e aglio’; si dimenticavano però che ne mangiavano al tavolo della schiavitù».
Il «mafiarsi» del 31 dicembre è il più forte monito di Francesco alle mafie dopo l’affermazione che «i mafiosi sono scomunicati» che è del 21 giugno scorso. È tipico di Francesco rafforzare il pronunciamento con l’originalità delle parole con cui lo formula.
La forza di linguaggio del Papa argentino si esprime anche con i tweet che invia ogni giorno ai follower che ormai sono 11 milioni. «Quanta gente innocente e quanti bambini soffrono al mondo! Signore, donaci la tua pace!» era quello di ieri, giornata della pace. Mentre quello dell’altro ieri, ultimo dell’anno e giorno del Te Deum , era stato il più breve di quanti ne abbia inviati fino a oggi: «Signore, grazie».
Luigi Accattoli