Se il mondo riscopre la Francia

Se il mondo riscopre la Francia

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IL MONDO riscopre la Francia. Lo spettacolo della sua unità, negli ultimi giorni, è stato abbagliante, elettrizzante. Si torna tutti indietro nel tempo — noi compresi.
MAI come in queste ultime settimane, da quando fummo travolti dalla Germania nazista, si era tanto parlato del tracollo della Francia. Le firme più prestigiose e autorevoli non potevano esimersi dal prevedere il disfacimento del nostro Paese, col pretesto, a volte giustificato, del dubbio che il presidente della Repubblica avesse la possibilità di far fronte al disastro. Pur sapendo di esagerare, ci si prendeva gusto, e si finiva per autoconvincersi. Una cosa è certa: i francesi — quali che fossero i circoli in cui si rifugiavano — erano divisi, individualisti o settari, a seconda dei casi; razzisti, antisemiti, ma soprattutto islamofobi. Questo era il nostro Paese; e ciascuno scopriva nuovi argomenti a riprova di un pessimismo comodo e disincantato. Mi fermo qui, perché la scorsa domenica è stata una domenica incredibile. All’improvviso questo Paese tanto screditato si trova faccia a faccia col miracolo dell’unità. Ho detto “miracolo”, e ho detto “unità”. Per protestare contro il crimine banalizzato, contro il razzismo trasformato in cronaca nera, contro gli assassini, da qualunque parte provengano, magari trasformati in eroi ad uso degli adolescenti. Abbiamo visto sfilare uomini e donne con emozione e fermezza, pacifici e decisi, laici o religiosi di ogni credo e di ogni genere. Se Hamas condanna l’attentato e se i rappresentanti degli ebrei di Francia invitano a non cedere alla paura, allora questa è un’altra Francia. Ci eravamo sbagliati.
Riconoscerlo non è solo onesto. È gioia pura. I nostri professori possono tornare a insegnare con più convinzione i grandi temi e i principi della Rivoluzione, senza la disperazione di sentirsi incompresi e inascoltati. Qualcuno mi farà notare che, dopo tragedie del genere, tutto questo può cambiare, che i francesi sono volubili, inclini a dividersi, troppo liberi per rimanere virtuosi a lungo. Ma dopo la manifestazione di domenica questo discorso non regge più.
Da qualche anno assistiamo, in funzione degli avvenimenti, a posizioni diverse. C’è chi sostiene che la Francia avrebbe dovuto porsi alla testa degli interventi umanitari. Dal canto loro, gli arabi ritenevano che la fede non si potesse mai separare dalla ragione, e che Dio imponesse loro di conservare le sacre terre ove era iniziato il regno di Maometto. È stato questo, negli anni recenti, il dibattito dominante. Ma la vera questione, da quando l’uomo è uomo, è quella di sapere se dobbiamo permetterci di uccidere, di rispondere al crimine con la vendetta, dimenticando le parole della Bibbia: «Se al male si risponde col male, quando mai il male avrà fine?» Ecco, è questo il punto. Oggi sembra — e sottolineo «sembra», ma è già una cosa enorme — che i francesi vogliano rispondere, simbolicamente o meno, a quest’ingiunzione biblica. Il male finirà quando saranno tanti — come domenica scorsa — gli uomini e le donne decisi a dimostrare, con la loro fervida unità, che esistono vie e modi per sradicarlo.
Traduzione di Elisabetta Horvat

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