Sanità agli sgoccioli per tagli

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Insieme alla scuola, la sanità ha finan­ziato l’austerità in Ita­lia dal 2009 a oggi. È quanto emerge dal lungo capi­tolo dedi­cato dalla Corte dei Conti alla sanità nell’ambito della rela­zione sulla gestione finan­zia­ria degli enti ter­ri­to­riali per il 2013. I risparmi otte­nuti dai pesanti tagli impo­sti alla sanità dovreb­bero essere inve­stiti nell’assistenza ter­ri­to­riale e domi­ci­liare e nell’ammodernamento tec­no­lo­gico e infra­strut­tu­rale. In caso con­tra­rio scat­te­rebbe l’allarme rosso per i livelli essen­ziali di assi­stenza (Lea). A lungo andare, emer­ge­reb­bero defi­cit assi­sten­ziali, soprat­tutto al Sud.

I tagli hanno fatto cer­ta­mente fatto sbal­lare i conti ma, dice la magi­stra­tura con­ta­bile, nella sanità si è rispar­miato addi­rit­tura più del pre­ven­ti­vato dai governi dell’austerità Berlusconi-Monti-Letta-Renzi. La spesa per il ser­vi­zio sani­ta­rio nazio­nale, nel trein­nio 2011–2013, “è risul­tata essere, a con­sun­tivo, pari a 111.094, 109.611 e 109.254 milioni, dun­que infe­riore di ben 4 miliardi di euro (per il 2012) e di circa 3 miliardi (per il 2013) rispetto alle stime con­te­nute nella Legge di Sta­bi­lità 2013. È stato regi­strato un decre­mento nomi­nale del 2,8% rispetto al 2010, pari a 3,1 miliardi di euro.

Nel 2013, al netto degli altri tic­ket sulla dia­gno­stica e le pre­sta­zioni spe­cia­li­sti­che, i cit­ta­dini hanno ver­sato 1.436 milioni, pari all’1,3% della spesa sani­ta­ria cor­rente com­ples­siva, con una media di circa 24 euro a testa. Nel qua­drien­nio esa­mi­nato dalla corte, è stato regi­strato un aumento del numero di ricette del 6,3%, e un boom del 66,6% dei tic­ket e com­par­te­ci­pa­zione. L’obiettivo di dimi­nuire la spesa far­ma­ceu­tica ospe­da­liera, e quella per beni e ser­vizi, è stato man­cato. In altre parole, i tagli alla sanità sono stati pagati, in gran parte, dai cit­ta­dini stessi. A que­sto è ser­vito l’aumento dei tic­ket che, insieme al blocco del turn-over del per­so­nale, finan­zia ciò che lo Stato nega. Senza dimen­ti­care l’aumento stel­lare delle addi­zio­nali Irpef e Irap, fon­da­men­tali per far qua­drare i conti alle Asl e agli ospedali.

Lo zelo dei custodi dell’austerità ha mol­ti­pli­cato l’accanimento dei loro col­le­ghi delle Regioni. «L’effetto com­bi­nato delle deci­sioni deli­be­rate dal par­la­mento nazio­nale e delle mano­vre cor­ret­tive attuate dalle Regioni sia in piano di rien­tro che non – spiega la Corte dei Conti — hanno gene­rato ridu­zioni di spesa net­ta­mente supe­riori di finan­zia­mento decise con la spen­ding review». L’ansia di essere più austeri dei loro man­danti ha spinto gli enti locali a ridurre, in quat­tro anni, di circa il 68% la quota di spesa per la sanità pub­blica non coperta dal finan­zia­mento al quale con­corre lo Stato.

Il bilan­cio di un qua­drien­nio ha rive­lato dun­que una delle con­trad­di­zioni dell’austerità. Con­si­de­rando anche la situa­zione delle Regioni in avanzo, il sistema sani­ta­rio a livello nazio­nale «mostra un disa­vanzo di 1.890 milioni» a causa delle mano­vre che hanno pra­ti­cato «tagli lineari» sulle prin­ci­pali voci di spesa, come i con­sumi inter­medi, la spesa far­ma­ceu­tica, le spese per il per­so­nale, l’acquisto di pre­sta­zioni sani­ta­rie da ero­ga­tori pri­vati accreditati.

Que­sto disa­vanzo rischia di non essere rein­ve­stito nella sanità. Nell’ingegneria opaca dell’austerità i fondi pos­sono essere dirot­tati altrove.
Nasce da qui l’allarme sui «Lea» lan­ciato dalla Corte dei conti. La poli­tica dei tagli aumenta, nei fatti, uno dei pro­blemi sto­rici della sanità ita­liana: il diva­rio assi­sten­ziale tra Nord e Sud. Quest’ultimo viene stran­go­lato sia dai piani di rien­tro sia dalla nuova nor­ma­tiva sull’armonizzazione con­ta­bile. L’indicazione dei giu­dici con­ta­bili è di «pere­quare» tale situa­zione attra­verso una pro­gram­ma­zione cen­trale delle nuove risorse all’interno di un nuovo piano nazio­nale degli investimenti.

Il pro­cesso di revi­sione della spesa sani­ta­ria «dovrà essere più selet­tivo e rein­ve­stire risorse nei ser­vizi sani­tari rela­ti­va­mente più carenti». Per la corte que­ste risorse vanno prese dai set­tori come l’acquisto di beni e ser­vizi non effet­tuati attra­verso le cen­trali regio­nali d’appalto o con con­ven­zioni della Con­sip. Si devono invece basare su «pro­cessi mole­co­lari di rior­ga­niz­za­zione» con­dotti dalle sin­gole Asl. Le regioni dovranno effet­tuare una più attenta ripro­gram­ma­zione dei fab­bi­so­gni, men­tre il governo dovrebbe poten­ziare il piano di medi­cina pre­ven­tiva indi­cato dal piano nazio­nale delle riforme pre­sen­tato nel Def 2014.



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