Il rilancio di Obama: «La crisi è alle spalle l’America è risorta»
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NEW YORK Barack Obama si scrolla di dosso l’ombra della crisi: quella dell’economia e quella della sua popolarità. Il Pil americano tira, l’occupazione cresce, il prezzo della benzina è quasi dimezzato e i sondaggi dicono che la popolarità del leader democratico è in ripresa dopo anni assai bui. E allora il presidente Usa approfitta del discorso sullo Stato dell’Unione — il suo penultimo, il primo davanti a un Congresso totalmente controllato dai repubblicani — per dichiarare che l’America è ormai uscita dalla crisi economica e che è quindi tempo di voltare pagina pensando all’equità. E, con la debacle subita dai democratici alle urne meno di tre mesi fa che brucia ancora, Obama esce per un momento dai binari del discorso per rivendicare di avere le mani libere: «Non devo più sottopormi al giudizio degli elettori: lo so bene perché le due volte che l’ho fatto, ho vinto».
Presentando un ambizioso programma di interventi sociali per combattere la povertà e sostenere il ceto medio, il presidente l’altra sera si è comportato come se avesse vinto anche le elezioni di mid term del novembre scorso che, invece, si sono risolte in una disastrosa sconfitta per i democratici. Un combattente che va in battaglia disarmato, in genere, viene liquidato come una figura velleitaria. Ma Obama non è uno sprovveduto: sa che non ha la forza per far passare il suo programma di governo al Congresso, ma non vuole farsi chiudere in un angolo. Ha deciso di giocare gli ultimi due anni della sua presidenza politicamente all’attacco e le sue prime sortite delle scorse settimane sono state ben accolte dagli americani, a giudicare dai sondaggi che lo danno in netta ripresa anche (e forse soprattutto) grazie alla benzina a buon mercato che mette 750 dollari in più nelle tasche della famiglia media americana.
Ieri, così, il presidente ha delineato la sua «agenda sociale» di fine legislatura — i provvedimenti specifici li inserirà nel progetto di bilancio che manderà in Parlamento il 2 febbraio — fatta di aiuti alle famiglie con figli, estensione dell’istruzione pubblica gratuita ai «community college» e qualche tassa in più per i ricchi e per le banche maggiori. Non si aspetta che la destra l’accolga (i repubblicani hanno già bocciato le sue proposte fiscali), ma con questa mossa cerca di spostare a sinistra il baricentro politico e costringe sulla difensiva un fronte politico che non può cavarsela solo disegnando la caricatura di un Obama-Robin Hood: anche leader conservatori che puntano alla Casa Bianca come Jeb Bush e Mitt Romney riconoscono che quello dell’impoverimento del ceto medio sta diventando un problema cruciale per l’America.
Una patologia che non vogliono curare con un aumento delle tasse ma che sanno di dover affrontare in un modo o nell’altro: cosa che li costringe a giocare almeno un tempo della partita in un campo a loro non congeniale. Rincuorato dalle buone notizie venute dai sondaggisti e dall’economia, ieri Obama ha tracciato un quadro in rosa anche per quanto riguarda la politica estera: ottimista (come riferiamo a parte) sulla ripresa del dialogo con Cuba, in Europa il presidente pensa di aver costretto sulla difensiva Putin: «Descrivevano la sua aggressione all’Ucraina come una magistrale esibizione di strategia e di forza, ci accusavano di debolezza e invece oggi Putin è isolato e l’economia russa a pezzi».
Obama ottimista anche sul negoziato nucleare con l’Iran nonostante ostacoli e rinvii, e deciso a opporre il veto presidenziale se il Congresso voterà un inasprimento delle sanzioni contro Teheran durante le trattative. Il presidente sostiene poi che in Iraq e in Siria l’avanzata del califfato terrorista è stata arrestata «grazie alla leadership americana, compreso l’uso della forza militare». Secondo diversi analisti, invece, l’Isis ha continuato a guadagnare terreno nonostante i bombardamenti Usa e dei suoi alleati (1.800 missioni da agosto ad oggi). Ma qui Obama punta soprattutto a ottenere l’autorizzazione del Congresso a un maggior uso della forza contro il califfato. Possibilità di attacchi diretti in territorio siriano? Non lo dice esplicitamente. I repubblicani lo criticano per questa indeterminatezza, ma quello della lotta al terrorismo è uno dei pochi campi, insieme ai trattati commerciali con l’Asia e con l’Europa, nei quali Congresso e Casa Bianca troveranno con ogni probabilità un accordo.
Massimo Gaggi
Ieri, così, il presidente ha delineato la sua «agenda sociale» di fine legislatura — i provvedimenti specifici li inserirà nel progetto di bilancio che manderà in Parlamento il 2 febbraio — fatta di aiuti alle famiglie con figli, estensione dell’istruzione pubblica gratuita ai «community college» e qualche tassa in più per i ricchi e per le banche maggiori. Non si aspetta che la destra l’accolga (i repubblicani hanno già bocciato le sue proposte fiscali), ma con questa mossa cerca di spostare a sinistra il baricentro politico e costringe sulla difensiva un fronte politico che non può cavarsela solo disegnando la caricatura di un Obama-Robin Hood: anche leader conservatori che puntano alla Casa Bianca come Jeb Bush e Mitt Romney riconoscono che quello dell’impoverimento del ceto medio sta diventando un problema cruciale per l’America.
Una patologia che non vogliono curare con un aumento delle tasse ma che sanno di dover affrontare in un modo o nell’altro: cosa che li costringe a giocare almeno un tempo della partita in un campo a loro non congeniale. Rincuorato dalle buone notizie venute dai sondaggisti e dall’economia, ieri Obama ha tracciato un quadro in rosa anche per quanto riguarda la politica estera: ottimista (come riferiamo a parte) sulla ripresa del dialogo con Cuba, in Europa il presidente pensa di aver costretto sulla difensiva Putin: «Descrivevano la sua aggressione all’Ucraina come una magistrale esibizione di strategia e di forza, ci accusavano di debolezza e invece oggi Putin è isolato e l’economia russa a pezzi».
Obama ottimista anche sul negoziato nucleare con l’Iran nonostante ostacoli e rinvii, e deciso a opporre il veto presidenziale se il Congresso voterà un inasprimento delle sanzioni contro Teheran durante le trattative. Il presidente sostiene poi che in Iraq e in Siria l’avanzata del califfato terrorista è stata arrestata «grazie alla leadership americana, compreso l’uso della forza militare». Secondo diversi analisti, invece, l’Isis ha continuato a guadagnare terreno nonostante i bombardamenti Usa e dei suoi alleati (1.800 missioni da agosto ad oggi). Ma qui Obama punta soprattutto a ottenere l’autorizzazione del Congresso a un maggior uso della forza contro il califfato. Possibilità di attacchi diretti in territorio siriano? Non lo dice esplicitamente. I repubblicani lo criticano per questa indeterminatezza, ma quello della lotta al terrorismo è uno dei pochi campi, insieme ai trattati commerciali con l’Asia e con l’Europa, nei quali Congresso e Casa Bianca troveranno con ogni probabilità un accordo.
Massimo Gaggi
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