Renzi: Angelino dove andava? Ora avanti per tutta la legislatura
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ROMA «Il patto del Nazareno rimane e la maggioranza di governo non cambia»: a sera Renzi trae il bilancio di queste giornate convulse che porteranno all’elezione di Mattarella. È soddisfatto, il premier: alla fine della festa, la sua maggioranza non è appesa a Sel, perché il Nuovo centrodestra voterà per Mattarella, e lui non ha veramente rotto con Berlusconi perché il leader di FI ha rinunciato all’Aventino e ha confermato la scelta di votare scheda bianca, così come aveva promesso.
Morale della favola, il premier non ha snaturato la sua avventura politica, come speravano in molti. La maggioranza rimane tale e quale quella che era, indissolubilmente avvinta alla sua persona. «Non conviene a nessuno rompere», ripete il presidente del Consiglio, riferendosi non solo alla coalizione che regge il suo esecutivo ma anche alla maggioranza che porta avanti le riforme.
Anche con Berlusconi, con cui pure, fino a ieri notte, non aveva avuto un colloquio diretto, i rapporti non sono interrotti definitivamente. «L’errore che ha commesso qualche consigliere del leader di Forza Italia — ragiona a tarda ora il presidente del Consiglio — è stato quello di convincerlo che le riforme rappresentavano un accessorio e che le cose serie erano altro. Sbaglio enorme, perché tutta la partita si gioca proprio sulle riforme che devono cambiare il Paese».
Ma se il comportamento del gran capo di FI non lo ha stupito né sorpreso quello del ministro dell’Interno, invece, lo ha lasciato basito. Non si aspettava dal leader del Nuovo centrodestra questo tentativo di smarcamento così evidente, giocato in un momento cruciale nella partita del premier e del governo. L’idea di Alfano di prendersi la sua libertà è fallita. Il titolare del Viminale ci ha provato, cercando di creare una rinnovata intesa con Berlusconi. Il tentativo è miseramente fallito. E, a dire il vero, il presidente del Consiglio non aveva dubbi a questo proposito. Quando il «suo» ministro dell’Interno ha minacciato di fare asse con Berlusconi nella partita per il Quirinale, non ha temuto nessuna crisi di governo. «Voglio vedere se hanno il coraggio di andare avanti senza fare la figura dei fessi», è stato il suo commento. E quando quelli hanno fatto mostra di non fermarsi, lui non ha cambiato idea: «Se vuoi fare la figura dell’incoerente, accomodati», ha detto ad Alfano. C’è voluta tutta la pazienza di Lorenzo Guerini («Fai almeno due righe di appello in cui dici che Mattarella è il presidente di tutti per coinvolgere anche Alfano») e di Dario Franceschini («Dai un segnale») per smuovere il premier. Che non sembrava niente affatto intenzionato a muovere qualche passo in direzione del suo ministro dell’Interno: «Voglio vedere — spiegava ai suoi — se hanno il coraggio di mollare i ministeri, vedrete che alla fine si convinceranno, sennò dove vanno?». E poi al titolare del Viminale: «Tu per votare Mattarella chiedi addirittura un mio appello? Ma io non te lo farò mai. Ti pare che un ministro dell’Interno non vota il presidente? Sei un incoerente e io non ti apro nessuna strada».
E, in effetti, quello che l’inquilino di Palazzo Chigi ha dischiuso al «suo» ministro è stato un viottolo per poter rientrare e accettare la candidatura di Mattarella. Ma il rientro di Alfano non è stato certamente salutato da Renzi come il ritorno del figliol prodigo: «Dove poteva andare? Rischiava solo di fare una figuraccia? Dopodiché sono disposto a cancellare tutto e ad andare avanti». Fino a quando? «Fino alla fine della legislatura — risponde sicuro il premier, che ribadisce di non avere intenzione alcuna di «andare alle elezioni»: «Dobbiamo fare ancora tante, troppe, cose». E, comunque, il voto anticipato non conviene a nessun alleato né oppositore di Renzi. Tanto più che ormai l’inquilino di Palazzo Chigi ha l’arma quasi carica sul tavolo. L’Italicum nuova versione è atteso solo alla prova di Montecitorio, dove il Pd ha una maggioranza schiacciante. Una volta approvato il nuovo sistema si potrà votare quando si vuole, con l’Italicum alla Camera e con il Consultellum al Senato, cioè un meccanismo proibitivo, che, con la sua soglia dell’otto per cento per collegio, rispedirebbe a casa molti candidati.
Dunque, Renzi ha vinto anche quest’altra mano. Ma la partita è ancora lunga. «Un partito non si costruisce sull’elezione del presidente della Repubblica»: avverte Alfredo D’Attorre, che di Renzi è un acerrimo nemico, benché abbia giurato di votare per il Colle secondo le indicazioni del Pd. Ma per una volta tanto il premier e l’esponente di minoranza la pensano nello stesso modo.
Perciò il presidente del Consiglio non si accontenta di aver ricompattato il Pd sul nome di Mattarella, ma si spinge oltre. Pensando alla legislatura che sarà. E intanto da uomo pragmatico, fa i conti anche per l’oggi: «Mattarella sarà eletto alla quarta votazione con almeno 620 voti».
Maria Teresa Meli
Anche con Berlusconi, con cui pure, fino a ieri notte, non aveva avuto un colloquio diretto, i rapporti non sono interrotti definitivamente. «L’errore che ha commesso qualche consigliere del leader di Forza Italia — ragiona a tarda ora il presidente del Consiglio — è stato quello di convincerlo che le riforme rappresentavano un accessorio e che le cose serie erano altro. Sbaglio enorme, perché tutta la partita si gioca proprio sulle riforme che devono cambiare il Paese».
Ma se il comportamento del gran capo di FI non lo ha stupito né sorpreso quello del ministro dell’Interno, invece, lo ha lasciato basito. Non si aspettava dal leader del Nuovo centrodestra questo tentativo di smarcamento così evidente, giocato in un momento cruciale nella partita del premier e del governo. L’idea di Alfano di prendersi la sua libertà è fallita. Il titolare del Viminale ci ha provato, cercando di creare una rinnovata intesa con Berlusconi. Il tentativo è miseramente fallito. E, a dire il vero, il presidente del Consiglio non aveva dubbi a questo proposito. Quando il «suo» ministro dell’Interno ha minacciato di fare asse con Berlusconi nella partita per il Quirinale, non ha temuto nessuna crisi di governo. «Voglio vedere se hanno il coraggio di andare avanti senza fare la figura dei fessi», è stato il suo commento. E quando quelli hanno fatto mostra di non fermarsi, lui non ha cambiato idea: «Se vuoi fare la figura dell’incoerente, accomodati», ha detto ad Alfano. C’è voluta tutta la pazienza di Lorenzo Guerini («Fai almeno due righe di appello in cui dici che Mattarella è il presidente di tutti per coinvolgere anche Alfano») e di Dario Franceschini («Dai un segnale») per smuovere il premier. Che non sembrava niente affatto intenzionato a muovere qualche passo in direzione del suo ministro dell’Interno: «Voglio vedere — spiegava ai suoi — se hanno il coraggio di mollare i ministeri, vedrete che alla fine si convinceranno, sennò dove vanno?». E poi al titolare del Viminale: «Tu per votare Mattarella chiedi addirittura un mio appello? Ma io non te lo farò mai. Ti pare che un ministro dell’Interno non vota il presidente? Sei un incoerente e io non ti apro nessuna strada».
E, in effetti, quello che l’inquilino di Palazzo Chigi ha dischiuso al «suo» ministro è stato un viottolo per poter rientrare e accettare la candidatura di Mattarella. Ma il rientro di Alfano non è stato certamente salutato da Renzi come il ritorno del figliol prodigo: «Dove poteva andare? Rischiava solo di fare una figuraccia? Dopodiché sono disposto a cancellare tutto e ad andare avanti». Fino a quando? «Fino alla fine della legislatura — risponde sicuro il premier, che ribadisce di non avere intenzione alcuna di «andare alle elezioni»: «Dobbiamo fare ancora tante, troppe, cose». E, comunque, il voto anticipato non conviene a nessun alleato né oppositore di Renzi. Tanto più che ormai l’inquilino di Palazzo Chigi ha l’arma quasi carica sul tavolo. L’Italicum nuova versione è atteso solo alla prova di Montecitorio, dove il Pd ha una maggioranza schiacciante. Una volta approvato il nuovo sistema si potrà votare quando si vuole, con l’Italicum alla Camera e con il Consultellum al Senato, cioè un meccanismo proibitivo, che, con la sua soglia dell’otto per cento per collegio, rispedirebbe a casa molti candidati.
Dunque, Renzi ha vinto anche quest’altra mano. Ma la partita è ancora lunga. «Un partito non si costruisce sull’elezione del presidente della Repubblica»: avverte Alfredo D’Attorre, che di Renzi è un acerrimo nemico, benché abbia giurato di votare per il Colle secondo le indicazioni del Pd. Ma per una volta tanto il premier e l’esponente di minoranza la pensano nello stesso modo.
Perciò il presidente del Consiglio non si accontenta di aver ricompattato il Pd sul nome di Mattarella, ma si spinge oltre. Pensando alla legislatura che sarà. E intanto da uomo pragmatico, fa i conti anche per l’oggi: «Mattarella sarà eletto alla quarta votazione con almeno 620 voti».
Maria Teresa Meli
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