Quirinale, il falso movimento dei leader

by redazione | 17 Gennaio 2015 9:35

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Ma che dovranno fare i mem­bri della Dire­zione Pd riu­niti in per­ma­nente assem­blea occu­pante di qui alla vigi­lia del fati­dico voto? Forse strim­pel­lare chi­tarre e into­nare i canti soavi degli indi­men­ti­cati papa-boys, certo non spiat­tel­lare ai quat­tro venti i nomi dei veri papa­bili. La par­tita è lunga: entrerà nel vivo solo dopo l’approvazione dell’Italicum al Senato, pre­vi­sta per gio­vedì pros­simo. Sino a quel momento è tutta pre­tat­tica. O gin­na­stica pre­pa­ra­to­ria, come la scelta di asse­gnare a ogni pos­si­bile can­di­dato un fede­lis­simo ren­ziano in buoni rap­porti, inca­ri­cato di tenere i con­tatti con la dovuta discrezione.

Per il resto i gio­ca­tori prin­ci­pali, che sono due e non più di due, si stu­diano, vagheg­giano stra­te­gie pos­si­bili. E i can­di­dati veri fanno lo stesso. Renzi, per ora, si è limi­tato a bloc­care la mano­vra tesa a «far emer­gere Prodi» nelle prime vota­zioni annun­ciando che ci sarà da subito un can­di­dato del Pd. Di ban­diera, salvo mira­coli. Certo, se al pre­sti­gia­tore di palazzo Chigi riu­scisse il col­pac­cio di inven­tarsi un pre­si­dente tanto «di tutti» da pas­sare nelle prime tre vota­zioni ne sarebbe lie­tis­simo. Un figu­rone. Solo che quel can­di­dato magico dovrebbe essere prima del Naza­reno e poi di tutti gli altri, ed è una con­di­zione proi­bi­tiva o giù di lì. Lo stesso Prodi, quando si nega come ha fatto ieri, invia in realtà un mes­sag­gio più ambi­guo. «Non voglio più essere in mezzo a que­ste ten­sioni», in fondo, è solo un altro modo per dire che se qual­cuno deci­derà di lan­ciarlo nell’arena, non sarà certo stato lui a chie­derlo, e dovrà quindi pen­sarci bene e fare sul serio. Pro­prio come Mario Dra­ghi, del resto…

Se il mira­colo non si rea­liz­zerà, come è quasi certo, Renzi ordi­nerà alla Dire­zione del par­tito chi deve libe­ra­mente indi­care. Ma lo farà solo dopo la terza vota­zione, e non è affatto detto che si tratti di uno dei nomi che cir­co­lano da set­ti­mane. Per cre­dere che l’uomo abbia del tutto rinun­ciato al sogno di un «pre­si­dente pupazzo» biso­gna non cono­scerlo. Nem­meno quando afferma, del resto in pri­vato, di non volere al Colle un ex segre­ta­rio di par­tito biso­gna pren­dere alla let­tera Mat­teo Renzi. Signi­fica solo che non sarà un ex lea­der il can­di­dato di ban­diera. Caduto quello se ne riparla, e tutte le porte restano apertissime.

Ber­lu­sconi, da parte sua, insi­ste sul «candidato-centrista-non-di-sinistra», ma non biso­gna farlo più inge­nuo di quanto non sia. Que­sto mar­tel­la­mento ini­ziale gli serve solo per poter dire, quando si arren­derà alla illi­be­rale impo­si­zione di un nuovo capo dello Stato tar­gato Pd, che il minimo è con­ce­der­gli almeno di deci­dere lui con quale corda impic­carsi. E anche in que­sto caso non è affatto detto che dal cilin­dro di Arcore non salti fuori un qual­che espo­nente del Pd al momento ancora in ombra.

Beppe Grillo, quando boc­cia Prodi e con lui pra­ti­ca­mente tutti i papa­bili spun­tati sui gior­nali, fa anche lui pre­tat­tica, ma fino a un certo punto. Un po’ lan­ciare Prodi, come vor­rebbe la mino­ranza Pd, pro­prio men­tre alle­sti­sce i ban­chetti anti-Euro non è faci­lis­simo. Ma in misura anche mag­giore Beppe e la sua crea­tura sono a un bivio. Da un lato c’è Casa­leg­gio, che non vuole diri­gere un par­tito, fosse pure il più intran­si­gente e rivo­lu­zio­na­rio, ma una biz­zarra setta più vicina a Scien­to­logy che a qua­lun­que altra for­ma­zione poli­tica pre­sente o pas­sata. Dall’altro ci sono ormai parec­chi par­la­men­tari che un po’ di mestiere lo hanno impa­rato e di restare in pan­china vita poli­tica natu­ral durante, in attesa dell’avvento della Rete, hanno poca voglia. Grillo sta in mezzo, e dalla scelta che farà dipen­derà la sorte già peri­co­lante del Movi­mento 5 Stelle.

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