Mancano 15 giorni all’apertura delle danze, e sono un’eternità: sparare nomi, per ora, è davvero solo un gioco di società. Ma le diverse poste in gioco sono già chiare e al momento, più che su questo o quel papabile, è qui che la sfida è già in corso.
Si tratta di scegliere tra un presidente della repubblica quasi privo di peso specifico e un nuovo monarca, si sa. Ma non è tutto qui. La scelta del prossimo capo dello stato certificherà la possibilità, per Matteo Renzi, di guidare il Paese senza dover rendere conto al Parlamento, alla sua maggioranza o ai dissidenti del suo stesso partito ma forte solo dell’appoggio di Silvio Berlusconi. Più che «chi sarà l’eletto?», la domanda è «chi lo eleggerà?».
La vice segretaria del Pd Debora Serracchiani recita compunta il copione di turno: «Senza Berlusconi è impossibile, ma credo che non lo si dovrebbe mai fare senza alcuna forza politica». Tanto inappuntabile quanto falso. I vertici del Pd non stanno muovendo un dito per cercare un’intesa vasta. E’ l’opposto esatto di quel che Renzi vuole: un capo dello Stato reso fortissimo proprio dal sostegno di tutte o quasi le forze politiche. Per lui c’è un solo interlocutore nella partita del Quirinale, l’uomo di Arcore. Tutti gli altri contano zero.
Per motivi uguali e opposti, la minoranza del suo partito tira invece a creare quell’ampia convergenza. «Perché non cercare di eleggere il ’presidente di tutti’ già nelle prime tre votazioni?», aveva chiesto con palese malizia l’ex segretario Pierluigi Bersani mercoledì. Ieri gli ha offerto l’ovvia spiegazione Stefano Fassina: «Preoccupa che Renzi consideri già perse le prime tre votazioni: vuol dire che non è interessato a costruire una convergenza ampia. Invece dovremo esplorare la possibilità di andare oltre il Nazareno». Che è come chiedere al Pontefice di celebrare una bella messa nera. Tanto più che da quell’esplorazione verrebbe fuori quasi certamente il nome di Romano Prodi (bocciato però ieri da Beppe Grillo), vero candidato ombra anti-Nazareno, e a quel punto Renzi non riuscirebbe più a disfarsene. Specialmente con l’area ribelle di Forza Italia che, pur di affossare la corte di Silvio e probabilmente lo stesso vetusto ex sovrano, non esiterebbe ad appoggiare persino l’antico arci-nemico.
In realtà nulla di tutto questo preoccupa Renzi. Se, come è probabile, si acconcerà controvoglia a incoronare un politico di professione, ha già pronto quel Sergio Mattarella su cui punta il fronte trasversale cattolico, oppure quel Walter Veltroni che in privato il capo del Pd assicura essere il suo preferito e che proprio per questo molti, conoscendo la franca limpidezza dell’uomo, ritengono invece già bruciato. Fino a che la barricata del Nazareno tiene, Renzi è certo di farcela e anche di agguantare l’obiettivo entro gennaio. Ovvio che, di conseguenza, una parte dell’opposizione tenti il lavoro a uomo su Silvio il Sospettoso.
Roberto Calderoli lo ha chiamato al telefono ed è andato giù senza perifrasi: «Lo sai, vero, che Renzi tira a fregarti?». Il capo azzurro cova identici timori: «Lo temo anche io», pare abbia risposto al senatore leghista. La fregatura in questione sarebbe incamerare il capo dello Stato grazie al sostegno azzurro e poi negargli il saldo, cioè quell’agibilità politica che per Arcore è la sola merce di scambio che conti. In realtà Berlusconi non ha ancora deciso come muoversi. Anche per lui difendere il Nazareno è questione di vita o di morte, ma potrebbe insistere su qualche nome di sua fiducia e non del tutto manovrabile dall’inquilino di palazzo Chigi. Tutto sta a trovarlo, certo, perché non potrebbe certo trattarsi di qualcuno proveniente dall’area di centrodestra, né politica né in senso più lato. Ma anche nella metà campo avversaria qualcuno di cui Silvio Berlusconi si fiderebbe c’è. Giuliano Amato, per esempio, oppure Massimo D’Alema. Oggi appaiono del tutto fuori gioco, è vero, e al momento effettivamente lo sono. Ma due settimane, in questi casi, sono molto lunghe.