Lo ha spiegato bene il procuratore Greco in un’audizione in Senato del 14 gennaio. «Così come è stato approvato, il decreto sull’Ilva potrebbe bloccare il rientro dei capitali dalla Svizzera». Il problema è un comma, l’11-quinquies, presente nella precedente legge e poi sparito, che consentiva il trasferimento delle risorse con adeguate garanzie dalla Svizzera all’Italia. «Il nuovo testo lo abbiamo letto e riletto ma non siamo riusciti a capire molto. Ma ci sembra che manchino le condizioni, che prima c’erano, chieste dagli svizzeri per far rientrare i capitali: ci chiedono che quei soldi non siano confiscati prima di una sentenza definitiva passata in giudicato. Oppure altre garanzie». Quindi o bisogna aspettare non meno di tre anni, in attesa della Cassazione, o emettere a garanzia delle obbligazioni per un importo equivalente, cosa però che ora Ilva non può più fare. E non potrebbe farlo nemmeno lo Stato «senza ottenere una contropartita, altrimenti — ha detto Greco — la cosa potrebbe avere dei riflessi in termini costituzionali e anche con l’Ue». Non a caso da Bruxelles stanno valutando se aprire una procedura d’infrazione. Ma le critiche dei magistrati arrivano anche sulle tutele ambientali. «Si dice — ha spiegato il procuratore Sebastio — che sarà sufficiente rispettare l’80% degli interventi previsti dall’Aia. Ma nulla si dice del restante 20».
L’ultimo colpo è arrivato ieri dal procuratore generale Vignola: «Ci preoccupa molto — ha detto — l’esistenza di una forma di salvacondotto che vieterebbe all’autorità giudiziaria l’esercizio del suo potere-dovere di accertare eventuali reati e di attivare l’azione penale». Intanto la città è in ansia sul futuro dell’azienda: fonti sindacali parlano di cassa integrazione a rotazione per cinquemila persone mentre i dipendenti delle aziende dell’indotto, senza stipendio da mesi, hanno occupato Palazzo di città.