“ La nostra fede vuol dire pace i terroristi sono nemici dell’Islam ”

by redazione | 12 Gennaio 2015 9:44

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PARIGI . Magari fosse questo il fondamentalismo islamico: quanto sarebbe bello. Il bambino sventola la bandiera della Tunisia seduto su una casella postale in boulevard des Filles-du-Calvaires, un pezzo di fiume umano che scorre tra i due formicai di place de la Bastille e place de la République. «Alè maman… «. Schiude le labbra a un sorriso pieno. Sul piumino è appiccicato un foglio: «Je suis petit Charlie», scritto di suo pugno, avrà 10 anni. La madre si chiama Halima Fatnassi, ha i capelli a treccine raccolti. Scandisce il coro «Liberté! liberté!» mentre aiuta il figlio a dispiegare il drappo rosso e bianco tunisino: c’è il cerchio con la mezzaluna, simbolo del mondo arabo, e la stella icona dei cinque pilastri dell’Islam: fede, preghiera, elemosina ai bisognosi, digiuno nel mese del Ramadan, pellegrinaggio. « Islam deriva da una parola che significa pace e noi obbediamo alla pace. Mio figlio l’ho cresciuto così. Gli ho spiegato che siamo tutti uguali. Che crediamo tutti nello stesso Dio. Gli ho detto che questi assassini che uccidono in nome dell’Islam sono i primi nemici della nostra religione. Non sono musulmani: sono dei pazzi criminali. Deformano il Corano, lo prendono a pretesto della loro barbarie schifosa».
Marciano per la pace e la tolleranza i musulmani di Parigi. Camminano fieri con le famiglie, i figli, le fidanzate. Orgoglio morale ma anche un po’ ostaggi di una crisi identitaria. Questi sono quelli veri, che hanno perso i loro “fratelli”, non i “musulmani finti”, come li ha chiamati in lacrime il fratello del poliziotto in bicicletta Ahmed Merabet, trucidato per strada da Said e Chérif Kouachi. Cercare nomi e fedi su delle facce è difficile. Quando due milioni di persone riempiono una città per lanciare lo stesso messaggio, quando quella città è la capitale di un Paese che ospita la più grande comunità islamica d’Europa (7 milioni su un totale stimato di 18), tutto si amalgama. Ma c’è un senso di appartenenza che non sfugge. Ahmed Al Hamata è un impiegato tecnico del Comune di Parigi, «lavoro là in fondo, 11esimo arrondissement» (lo stesso della strage di Charlie Hebdo, ndr). Trentacinque anni, algerino “berbero del Sahara”, tiene a dire. Sfoggia l’adesivo con la scritta «Non staremo zitti! Libertà di espressione, laicità e antirazzismo». «Il Profeta non ha mai detto di uccidere, non ha mai chiesto vendette sanguinarie. Gli assassini che dicono di essere vendicatori di Maometto li chiamo “integralisti nazisti”. Perché hanno le stesse idee deliranti dei nazisti: se non sei d’accordo con loro, ti uccidono». Ahmed è in mezzo alla folla che inonda boulevard Beaumarchais. «I Kouachi, Coulibaly e i loro compagni di odio sono dei perdenti. Hanno scelto di stare dalla parte sbagliata. Vince chi ha ragione, e loro non ne hanno nemmeno una».
Nordafricani, siriani, turchi, curdi. Ecco Muslum, 40 anni, originario del Kurdistan turco. È un musulmano sunnita. Solleva un cartello: sfondo nero, scritta rossa. «Sono curdo e sono Charlie!». È un modello di comunicazione, ognuno lo declina con la sua nazionalità. «Sono algerino e sono Charlie!»; «Sono arabo e sono Charlie». Una rivendicazione morale: origini e religione, «ma vivo in pace e voglio la pace» ripete Muslum. La figlia, accanto, anche lei uno slogan vergato su un cartone: «Il terrorismo uccide in Francia come in Kurdistan».
Parte un lungo applauso all’angolo tra boulevard du Temple e rue Jean-Pierre Timbaud. Un matitone gigante si materializza da un balcone all’ultimo piano di un palazzo: «Liberté» recita lo striscione, lo srotolano tra due finestre. Dice Kamal Aassid, cameriere, Marocco: «Noi siamo per l’amore e la tolleranza. Non per i kalashnikov. Purtroppo il radicalismo islamico è diventato una calamita per psicopatici. Il peggiore nemico dell’Islam. Ma li isoleremo questi animali, spegneremo la loro violenza». Predicava il Profeta Maometto: «Troverete guerrieri votati a Satana: combatteteli con la sciabola in mano… «. In place de la Bastille, sotto la Colonna di Luglio con in cima la statua del Genio della Libertà, si vedono solo matite. Sono le sciabole della città di Charlie.
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