“Non ci saranno strappi” Syriza pronta a negoziare e la Ue tende la mano “Piena fiducia nel voto”

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LA GERMANIA minaccia («l’uscita della Grecia dall’euro è gestibile»), Alexis Tsipras risponde. Senza retromarce sul suo programma – «l’austerità deve finire e il nostro debito deve essere tagliato», ha ribadito ieri – ma moderando i toni in vista di una trattativa con la Troika che, in caso di vittoria elettorale, si preannuncia al calor bianco: «Syriza negozierà una soluzione ragionevole e realistica con i suoi creditori nel quadro degli accordi con la Ue ha spiegato – E in quest’ambito lavorerà a un’intesa che dovrà rivedere i termini del pagamento degli interessi e lavorare per il rilancio dell’economia». Nessuna mossa unilaterale, insomma, nessuno strappo come il temutissimo stop al pagamento degli interessi. Anzi. Il partito si impegnerà «a mantenere l’equilibrio di bilancio» anche se punterà a ottenere “la possibilità di scorporare gli investimenti pubblici per qualche anno dal calcolo del deficit».
Le parole concilianti del leader ellenico non saranno certo dispiaciute a Bruxelles dove le forzature tedesche delle ultime ore sono state accolte con un po’ di sorpresa. Tanto che già oggi la Ue potrebbe prendere garbatamente le distanze dai falchi di Berlino ribadendo la sua totale fiducia nel voto dei greci e la volontà (ovvia) di rispettare l’esito delle urne. Più difficile invece che arrivino sostegni diretti da parte della Bce dopo che ieri il leader di Syriza ha tirato per la giacchetta Eurotower chiedendo che i titoli di stato ellenici non siano esclusi da un eventuale piano di quantitative easing della banca centrale.
La prudenza di Tsipras – che nelle scorse settimane ha incontrato due volte Mario Draghi – si spiega probabilmente con la cautela necessaria per gestire un iter post-elettorale dove i tempi saranno strettissimi e gli errori (visti anche i numerosi falchi in agguato) non sono ammessi. In caso di vittoria al voto del 25 gennaio, infatti, la sinistra avrà davanti a sé un percorso ad ostacoli: prima dovrà trovare un partner con cui governare, impresa forse un po’ più facile dopo le prime aperture dei socialisti del Pasok e di George Papandreou che ha appena lanciato il suo nuovo partito (Movimento socialisti democratici). Poi, a stretto giro di posta, dovrà eleggere il presidente della Repubblica. Due operazioni che nella migliore delle ipotesi richiederanno almeno una quindicina di giorni. A quel punto potranno partire i negoziati con la Troika con sulla testa la spada di Damocle della data-ultimatum (28 febbraio) in cui in teoria finirà il sostegno di Bce, Fmi e Ue ad Atene. Tsipras insomma non avrà troppo tempo per muri contro muri negoziali e dovrà presentarsi a metà del prossimo mese al tavolo dei negoziati con una proposta di mediazione già concreta. Anche per evitare che lo stallo porti in automatico Atene al default.
I creditori e i tedeschi non sono però in queste ore l’unico problema con cui deve fare i conti Syriza. Anzi: ad agitare le acque più della Merkel è la variabile Papandreou e della sua nuova formazione nata dal divorzio (al veleno) con i socialisti. I sondaggi danno la sinistra di Alexis Tsipras ancora in vantaggio sul centrodestra di Nea Demokratia. Il distacco però si è un po’ assottigliato e gli osservatori politici ellenici sono convinti che l’ingresso in campo del figlio del fondatore del Pasok possa spostare in maniera decisiva gli equilibri. Rubando un po’ di preferenze ai socialisti – che non a caso ha preso malissimo l’addio del loro ex leader – ma anche un pugno di voti (si pensa tra l’1 e il 2%) a Syriza. Gli esperti di flussi elettorali hanno rivelato ieri che più del 6% dei greci sta considerando di mettere la croce sulla nuova formazione di Papandreou, un cognome che in Grecia esercita ancora un forte fascino. Se queste previsioni si avverassero, il risultato del voto del 25 gennaio (al netto della possibile rimonta di Samaras) potrebbe all’improvviso tornare in discussione.


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