Modi e Obama, un’amicizia atomica

by redazione | 27 Gennaio 2015 12:24

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Il pre­si­dente degli Usa Barack Obama, ha pre­sen­ziato per la prima volta come ospite d’onore alla tra­di­zio­nale parata mili­tare della 66esima edi­zione della Festa della Repub­blica indiana, rispon­dendo all’invito esteso mesi fa dall’omologo indiano e «amico» Naren­dra Modi.

La visita ha cata­liz­zato l’attenzione dei media locali, impe­gnati in una nar­ra­zione dell’evento sto­rico decli­nata alle neces­sità media­ti­che di NaMo; si tratta di un appa­rato di una potenza comu­ni­ca­tiva deva­stante, para­go­nato all’epoca di un primo mini­stro Man­mo­han Singh serio e serioso, rispet­tato e sti­mato, ma ana­gra­fi­ca­mente obso­leto nell’Era della Comu­ni­ca­zione odierna.

Al con­tra­rio, Modi ha dato nuo­va­mente prova delle sue indub­bie abi­lità media­ti­che, in un con­ti­nuo sfog­gio di imma­gini evo­ca­tive di un rap­porto bila­te­rale che sfonda nella «bro­man­ship», come si dice, nel rap­porto «cool» che inter­cor­re­rebbe tra NaMo e «l’amico Barack». Sin dall’atterraggio dell’Air Force One all’aeroporto mili­tare di New Delhi, Modi ha insi­stito in una siste­ma­tica rot­tura del pro­to­collo: abbracci e baci sotto le sca­lette dell’aereo pre­si­den­ziale; Modi che serve il té a Barack Obama in un amar­cord tele­fo­nato delle sue umili ori­gini da ven­di­tore di chai; Modi che ride sgua­iato alle bat­tute di cir­co­stanza di Obama sulle poche ore di sonno dei leader.

Epi­sodi troppo inna­tu­rali — con­si­de­rando la fama di poli­tico austero e mar­ziale che con­trad­di­stin­gue il primo mini­stro cre­sciuto nelle fila della for­ma­zione para­fa­sci­sta hindu della Rash­triya Swa­yam­se­vak Sangh — che lasciano intra­ve­dere lo sforzo mal­ce­lato di un maquil­lage deciso a tavo­lino, nella spe­ranza che paghi sia sul lungo ter­mine – atti­rando nuovi inve­sti­tori nella cro­ciata del Make in India, «venite qui a pro­durre» – che nel bre­vis­simo: tra meno di due set­ti­mane si vota per il governo locale di New Delhi e quelle imma­gini da fra­ter­nità uni­ver­si­ta­ria fuori tempo mas­simo, c’è da scom­met­terci, val­gono più di cen­ti­naia di comizi.

L’espediente della parata – noio­sis­sima, tenu­tasi sotto la piog­ge­rel­lina di una New Delhi mili­ta­riz­zata per scon­giu­rare il peri­colo di atten­tati paven­tato dalle agen­zie – ha creato i pre­sup­po­sti per aggior­nare lo stato dell’arte dei rap­porti tra Usa e India a distanza di pochi mesi dalla sto­rica visita di Modi in America.

E le somme da tirare sono ancora piut­to­sto fumose.

I due lea­der hanno par­lato con­cre­ta­mente d’affari solo nella serata di ieri, a con­clu­sione del sum­mit di ammi­ni­stra­tori dele­gati indiani e sta­tu­ni­tensi ospi­tato presso l’hotel Taj della capi­tale. La «vision» di Modi e Obama rimane inva­riata, infar­cita di pro­messe e pre­vi­sioni che vedranno i due paesi sem­pre più impe­gnati in uno svi­luppo «green», inclu­sivo e soste­ni­bile, ani­mato da part­ner­ship com­mer­ciali ed eco­no­mi­che a par­tire da un accordo per l’energia nucleare sul quale India e Usa lavo­rano da oltre 10 anni. Delhi vuole rea­liz­zare nuove cen­trali assieme a com­pa­gnie ame­ri­cane, ma deve chia­rire i con­torni di respon­sa­bi­lità legale – e con­se­guenti richie­ste di risar­ci­mento – in caso di inci­denti: con­di­vise tra ope­ra­tori locali e for­ni­tori stra­nieri fino ad oggi, ora pare ci sia spa­zio per una tutela mag­giore che met­te­rebbe al riparo le aziende Usa.

Modi e Obama la danno come cosa fatta, senza però aver ancora spie­gato nel det­ta­glio quale sia la solu­zione con­di­visa rag­giunta, si dice, durante il té di dome­nica pome­rig­gio. I con­torni epici del discorso – in inglese – del «primo pre­mier nato nell’India libe­rata» Naren­dra Modi hanno raf­for­zato l’immagine di un’India che vuole essere pie­tra ango­lare del nuovo mondo inter­di­pen­dente, pro­spe­rando «saath saath», a brac­cetto, col part­ner americano.

Ma Obama, rivol­gen­dosi ai big di India Inc. pre­senti, ha snoc­cio­lato le cifre dell’impegno a stelle e stri­sce nel sub­con­ti­nente: 1 miliardo di dol­lari di finan­zia­menti per sti­mo­lare l’export Usa verso l’India; 2 miliardi di dol­lari di inve­sti­menti in ener­gie rin­no­va­bili; tec­no­lo­gia Usa per rea­liz­zare tre «smart city» in ter­ri­to­rio indiano. Som­mando tutto quanto, fanno 4 miliardi di dol­lari in due anni: la Cina, qual­che mese fa, ne aveva pro­messi 20 in cin­que anni; il Giap­pone, 35 in cin­que anni.

La somma esi­gua messa sul piatto da Obama dovrebbe fare da sas­so­lino lan­ciato nello sta­gno, in pre­vi­sione che le poli­ti­che ultra­ca­pi­ta­li­ste messe in atto da Modi – abbat­tere gli osta­coli buro­cra­tici e legali per age­vo­lare l’arrivo di inve­sti­menti diretti stra­nieri, a disca­pito della tutela ambien­tale – pos­sano spri­gio­nare l’enorme poten­ziale ancora intonso.

È vero, ha chia­rito Obama, che l’interscambio tra Usa e India ha rag­giunto la cifra record di 100 miliardi di dol­lari, ma è vero anche che quello con la Cina ammonta a cin­que volte tanto. Di tutto l’import ame­ri­cano, solo il 2 per cento pro­viene dall’India, men­tre le espor­ta­zioni alla volta di New Delhi coprono un minu­scolo 1 per cento nel bilan­cio totale di Washington.

La strada da fare è ancora lunga, ma in soli otto mesi di governo Modi è riu­scito a met­tere l’India al cen­tro di un sistema mul­ti­po­lare pieno di poten­ziali inve­sti­tori nella scom­messa della cre­scita indiana, senza pre­clu­dersi alcuna pos­si­bi­lità di col­la­bo­ra­zione. Tanti «amici», tutti part­ner, nes­sun alleato.

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