«Liberté, égalité, fraternité» e il loro doppio

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Il giu­di­zio della stampa di tutto il mondo è quasi una­nime: la mat­tanza pari­gina rap­pre­senta un attacco alla libertà, col­pita in una delle sue espres­sioni più clas­si­che ed espli­cite, la satira con­tro il potere, la morale, i dogmi di tutte le religioni.

Giu­sto, non c’è da ecce­pire. Non­di­meno sulle ban­diere della Rivo­lu­zione fran­cese sta­vano scritte tre parole: liberté, éga­lité, fra­ter­nité. Con­verrà allora esa­mi­nare l’orrenda ese­cu­zione di massa nella reda­zione di Char­lie Hebdo e le sue pre­ve­di­bili con­se­guenze alla luce di cia­scuna di que­ste parole.

Comin­ciamo dalla prima, liberté. L’islam poli­tico (e il rap­porto stretto tra Islam e poli­tica è dato dalla sua stessa genesi sto­rica fuori da qual­siasi con­te­sto sta­tuale pre­e­si­stente) è indub­bia­mente nemico della libertà. Non c’è biso­gno di guar­dare alle sue espres­sioni più estreme, come il calif­fato di Al-Baghdadi, per con­sta­tarlo. O all’opulento oscu­ran­ti­smo sau­dita. Basta già rivol­gere lo sguardo alla Tur­chia par­la­men­tare e semieu­ro­pea di Erdo­gan per met­tersi sull’avviso. Quando par­liamo di Islam l’attrito tra lai­cità e reli­gione, tra diritti indi­vi­duali e norme comu­ni­ta­rie è garan­tito. Anche se non è neces­sa­ria­mente desti­nato a sfo­ciare in atti di estrema vio­lenza o in con­di­zioni di sof­fo­cante oppressione.

Resta il fatto che un miliardo e mezzo di per­sone, con diversi gradi di orto­dos­sia e con­vin­zione, pro­fes­sano que­sta reli­gione. Se non si col­tiva l’idea folle di risol­vere il pro­blema alla maniera dei cro­ciati, o quella, non meno stram­pa­lata, di seg­men­tare il pia­neta in com­par­ti­menti sta­gni, que­sto attrito deve essere fron­teg­giato con gli stru­menti dell’intelligenza poli­tica e lo svi­luppo delle lotte demo­cra­ti­che nei paesi isla­mici e in Europa.

Non man­cano, però, tra quanti in que­sti giorni cele­brano i gior­na­li­sti di Char­lie come mar­tiri della libertà, nume­rosi pala­dini della supe­rio­rità occi­den­tale che, tra furori proi­bi­zio­ni­sti, cam­pa­gne omo­fobe, tol­le­ranza zero e ana­temi con­tro la «società per­mis­siva», intat­ten­gono un rap­porto a dir poco pro­ble­ma­tico con la libertà. Imma­gino che alle matite anar­chi­che di Char­lie non sarebbe affatto pia­ciuto diven­tare un sim­bolo per que­sta gente.

Non sono solo gli isla­mi­sti a non avere ancora dige­rito la Rivo­lu­zione francese.

Il secondo ber­sa­glio degli atten­ta­tori di Parigi è éga­lité. Nes­sun pre­sunto deten­tore di verità asso­lute può con­tem­plare l’idea di egua­glianza, se non nel senso di una con­ver­sione più o meno for­zata. Del resto, i regimi isla­mici pog­giano su prin­cipi for­te­mente gerar­chici e, dopo il tra­monto del nazio­na­li­smo arabo, sull’indiscusso potere dell’autorità religiosa.

Tut­ta­via, i guar­diani dell’Occidente su que­sto punto pre­fe­ri­scono tacere, poi­ché sostan­zial­mente con­di­vi­dono, a loro modo, il punto di vista degli avversari.

I più espli­citi, citando Oriana Fal­laci, si dichia­rano appar­te­nere a una «civiltà supe­riore» e dun­que in diritto di discri­mi­nare non solo chiun­que pro­venga da un diverso ambito cul­tu­rale, ma anche il dis­senso al pro­prio interno nel momento in cui superi con­fini che vanno sem­pre più restrin­gen­dosi. All’eguaglianza dei diritti oppon­gono fil­tri, bar­riere e con­di­zioni. L’integrità dei prin­cipi di que­sti patrioti dell’Occidente non ammette con­ta­mi­na­zioni né evo­lu­zione alcuna. Infine, éga­lité met­te­rebbe in que­stione le gerar­chie, le stra­ti­fi­ca­zioni sociali e il sistema di pri­vi­legi cui sono affe­zio­nati. Dun­que, se gli uomini del calif­fato, ben con­vinti a loro volta di rap­pre­sen­tare una «civiltà supe­riore», le spa­rano addosso, tanto meglio.

Fra­ter­nité, la più desueta e cri­stiana delle tre parole, è con tutta evi­denza spaz­zata via da quel taglio netto tra «fedeli» e «infe­deli» che guida la mano degli assas­sini. Fra­ter­nità potrà darsi solo quando l’intero pia­neta avrà fatto dell’Islam il suo credo. Non è l’antidoto alla guerra, ma il suo risul­tato. Fatto sta che anche in que­sto caso i cri­stia­nis­simi difen­sori della civiltà occi­den­tale pre­fe­ri­scono aste­nersi da com­menti. Un sif­fatto prin­ci­pio impe­di­rebbe infatti di con­si­de­rare i migranti come pura e sem­plice minac­cia, impo­nendo una qual­che forma di inter­vento soli­da­ri­stico nei con­fronti di chi fugge dalla fame e dalla guerra.

Fra­ter­nitè è però anche un prin­ci­pio che pre­tende di distin­guere tra i sin­goli e le loro comu­nità, tra gli indi­vi­dui e i loro con­te­sti cul­tu­rali. Il prin­ci­pio cri­stiano della «cen­tra­lità della per­sona», se non se ne vuole fare solo una ban­die­rina per le cro­ciate con­tro l’aborto o l’eutanasia, dovrebbe signi­fi­care appunto que­sto. Poche espres­sioni sono prive di senso quanto la «fra­tel­lanza dei popoli», che in genere cor­ri­sponde agli inte­ressi dei loro gover­nanti e alle loro tre­gue armate.

Que­sta distin­zione tra indi­vi­dui e comu­nità è esat­ta­mente ciò che i sacer­doti dell’individualismo occi­den­tale para­dos­sal­mente rifiu­tano, ragio­nando per gruppi etnici e tra­di­zioni cul­tu­rali. Ci siamo «Noi» e «Loro», gli «isla­mici» e i «civi­liz­zati». Il qua­dro dello «scon­tro tra civiltà» è com­pleto. E la vit­to­ria dell’integralismo e dell’ intol­le­ranza anche. Lo schema della guerra santa può essere insi­dio­sa­mente laicizzato.

Charlie Hebdo è stato davvero ucciso dai suoi assassini ma si accinge ad essere sepolto da chi, strumentalmente, ne fa lo stendardo dei propri pregiudizi.

Così, dalle ceneri della Fra­ter­nité uni­ver­sa­li­stica ne sorge un’altra, nazio­nale, iden­ti­ta­ria, «bianca», se non quanto al colore della pelle certo quanto alla mentalità.

Quella dell’ «unità nazio­nale», dei «valori con­di­visi», quella che chiede di strin­gersi tutti con­tro il nemico esterno, quella allu­ci­nata che — nutrita da una ormai vasta let­te­ra­tura, dalla pio­nie­ri­stica Fal­laci al pole­mi­sta tede­sco Thilo Sar­ra­zin (La Ger­ma­nia si auto­di­strugge), al fran­cese Eric Zem­mour (Il sui­ci­dio fran­cese), per­fetta l’assonanza tra i due titoli, fino alla fan­ta­po­li­tica di Houel­le­becq — pensa dav­vero che un giorno l’Europa possa tra­sfor­marsi in un Calif­fato. Ipo­tesi cui nem­meno Al-Baghdadi, ragio­ne­vol­mente dedito a desta­bi­liz­zare i «regimi arabi mode­rati», crede minimamente.

Se doves­simo mar­ciare insieme a Marine Le Pen e Mat­teo Sal­vini, per non par­lare dei fasci­sti tede­schi di Pegida, in difesa di una idea comune di «civiltà», allora il «Noi» fini­rebbe per asso­mi­gliare sem­pre di più a quello per­se­guito dai mili­ziani della guerra santa.

A cia­scuno i suoi inte­gra­li­sti da debel­lare. Il Calif­fato non giun­gerà a gover­narci, ma la vita quo­ti­diana rischia di diven­tare molto infelice.



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