Lavoratori beffati: cala la « soli­da­rietà », si dimezza la «deroga»

by redazione | 6 Gennaio 2015 10:17

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Appena pas­sata la mez­za­notte, appena finiti i botti e pog­giato il calice, per i lavo­ra­tori è arri­vata la fre­ga­tura. Il 2015 si è aperto come si era chiuso il 2014. Ad un taglio dei diritti col pacco di Natale del Jobs act di Renzi, dal primo gen­naio ha fatto seguito il taglio in busta paga di almeno di un cen­ti­naio di euro per i circa 50mila lavo­ra­tori in soli­da­rietà. La ragione è pre­sto detta: il governo Renzi ha deciso di non rifi­nan­ziare i 40 milioni neces­sari ad inte­grare al 70 per cento la parte di sti­pen­dio perso per i lavo­ra­tori in con­tratto di soli­da­rietà. Quota che fino al 2013 era per­fino dell’80 per cento.

Oltre al danno sta però arri­vando la beffa. E un livello di incoe­renza da record per lo stesso governo. Il con­tratto di soli­da­rietà — lo stru­mento alter­na­tivo alla cassa inte­gra­zione con cui sin­da­cati e azienda si accor­dano per «lavo­rare meno, lavo­rare tutti» — sarebbe infatti un punto fermo della stra­te­gia in fatto di lavoro per Renzi e i suoi ministri.

Con la defi­sca­liz­za­zione dei con­tratti di soli­da­rietà — un finan­zia­mento una tan­tum di 15 milioni — si è risolta l’unica grande crisi azien­dale che il governo possa dire di aver con­tri­buito a chiu­dere — l’Electrolux, lo scorso mag­gio — seguendo però le indi­ca­zioni del sin­da­cato — per primo la Fiom Cgil — che ha sem­pre spinto per que­sta solu­zione che garan­ti­sce più ope­rai al lavoro e con salari più alti rispetto alla cassa integrazione.

Anche per que­sto motivo il con­tratto di soli­da­rietà è più volte men­zio­nato nella delega del Jobs act: si pre­vede una forma di con­tratti di soli­da­rietà espan­sivi — ridurre lo sti­pen­dio per assu­mere nuovo per­so­nale o pre­cari — e di ridurre l’uso della cassa inte­gra­zione solo dopo l’esaurimento delle pos­si­bi­lità di ridu­zione di ora­rio — con­tratti di soli­da­rietà in pri­mis. Ecco dun­que come la deci­sione di non rifi­nan­ziare i 40 milioni nel decreto Mil­le­pro­ro­ghe appaia total­mente incoe­rente. Alcune Regioni — come la Toscana — hanno già assi­cu­rato un finan­zia­mento per innal­zare l’integrazione. Ma sono una minoranza.

Col 2015 poi viene più che di dimez­zata la durata della coper­tura della Cassa inte­gra­zione in deroga. Già tagliata a soli 11 mesi — dai pre­ce­denti 24 — dall’agosto scorso, con lo stesso decreto si è pre­vi­sto di ridurla a soli 5 mesi per il 2015. Il numero dei lavo­ra­tori che soprav­vi­vono gra­zie a que­sto ammor­tiz­za­tore sociale è calato dagli oltre 110 mila del 2012 ai 30mila di fine 2013 a causa dei cri­teri molti più restrit­tivi — per stessa ammis­sione del mini­stero del Lavoro — «del ral­len­ta­mento nell’emanazione dei decreti di auto­riz­za­zione». Ma non per man­canza di richie­ste da parte delle aziende. La cassa in deroga — l’unico ammor­tiz­za­tore a totale carico della col­let­ti­vità — già per la riforma For­nero dovrebbe spa­rire nel 2016. Ma a sosti­tuirla non saranno certo i Fondi di soli­da­rietà lan­ciati dalla stessa For­nero: in tre anni gli accordi fir­mati tra imprese e sin­da­cati si sono limi­tati a pochis­simi set­tori rispetto all’oceano di quelli sco­perti dalla “cassa” ordinaria.

Ma le beffe per i lavo­ra­tori per il nuovo anno sono ancora tan­tis­sime. Una delle più inac­cet­ta­bili è quella degli innal­za­menti dei com­pensi annuali per vedersi rico­no­sciuti i con­tri­buti pen­sio­ni­stici. Dal primo gen­naio i lavo­ra­tori dipen­denti o pro­fes­sio­ni­sti per non per­dere un anno di con­tri­buti dovranno rag­giun­gere quota 15.563 euro, pari a 1.297 euro men­sili: un sala­rio lordo tutt’altro che scon­tato per buona parte di pre­cari e cassintegrati.

Il tutto per tacere dei grandi buchi neri della scia­rada di nuovi ammor­tiz­za­tori — Naspi, Asdi, Discoll — pre­vi­sti nel secondo decreto del Jobs act. Tutti senza coper­tura finanziaria.

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