Nella sala della Regina di una Camera dei deputati già in fibrillazione per le dimissioni di Napolitano e l’elezione del nuovo capo dello Stato, il governo non c’è. Il ministro Graziano Delrio — invitato per tempo — è assente giustificato. Le critiche sono quindi tutte per Matteo Renzi e le sue politiche.
Se sul Jobs act Landini annuncia un’assemblea nazionale dei delegati a febbraio, l’intenzione di «percorrere tutte le strade: quella giuridica, dei ricorsi perché ci sono ampie parti dei decreti assolutamente incostituzionali, considerato che a parità di lavoro e contratto si assicurano diritti diversi ai lavoratori» e perfino l’uso al contrario dell’odiato articolo 8 di Sacconi del 2010 — «a livello aziendale si può derogare alle leggi e noi lo faremo col contratto a tutele crescenti» -, è sulla parola «cambiamento» che sofferma le sue conclusioni.
«È stato detto che stiamo peggio del 2011 e difatti le riforme che il governo Renzi ha fatto sono solo il completamento della lettera della Bce e dei diktat della troika di quell’anno. Non sono le riforme che servivono al paese», attacca il segretario Fiom. La perdita dei diritti, l’aumento delle diseguaglianze viene poi legato alla «schizofrenia» di un governo che aveva sempre negato «la nazionalizzazione temporanea dell’Ilva chiesta dalla Fiom e ora la fa solo perché non trova privati disposti a comprarla». Oppure la risoluzione delle crisi aziendali di Terni — «Renzi s’è messo la medaglia anche lì» — o di Electrolux «basata sui contratti di solidarietà che nella legge di stabilità sono stati definanziati e tagliati del 10 per cento». Il rischio è poi che a breve anche «quel poco di industria pubblica che è rimasta sia svenduta»: Finmeccanica o Eni.
«Per questo noi dobbiamo rivendicare più di altri il cambiamento, l’innovazione». Citando il dato sul numero di imprenditori laureati — solo il 25 per cento — fornito da Andrea Ricci, ricercatore dell’Isfol, Landini ricorda una frase di Romano Prodi: «Non si può essere ricchi e coglioni per più di due generazioni» anche perché è «ormai dimostrato che la precarietà porta alla riduzione della produttività». Per tutti questi motivi la Fiom — e la Cgil — vogliono innovare i temi delle loro mobilitazioni. «La possiamo girare come vogliamo, ma dobbiamo assumere l’idea di una Europa che abbia lo stesso sistema fiscale e una banca unica». Il prossimo convegno della Fiom sarà proprio sul fisco, annuncia Landini, ricordando come «il Jobs act e il decreto fiscale con il condono sono due facce della stessa medaglia». Per «allargare consenso e rappresentanza serve mobilitarsi anche su questi temi», chiude.
Sulla stessa linea lo aveva preceduto Susanna Camusso. «Dobbiamo provare ad innovare e a farlo senza aggiustamenti in un sistema che non funziona o facendo riforme dello Stato e della Pubbica amministrazione che non affrontano i problemi dello sviluppo, della riduzione della diseguaglianza. Se non riusciamo a mutualizzare a livello europeo il nostro debito, prima o poi arriveremo a discutere di uscita dall’Euro», predice il segretario della Cgil. Il problema dell’Italia è quindi che «siamo un paese che guarda con invidia alle innovazioni degli altri, ma le riproponiamo solo in scala micro: abbiamo introiettato l’idea che non siamo un paese di innovazione». Per aspirare ad «un nuovo modello di sviluppo proviamo a partire da alcuni ambiti: l’alimentare e il made in Italy, la cura delle persone in un paese che unisce invecchiamento e longevità e, infine, sul territorio con manutenzione, porti, turismo, arte». Parole nuove, per un sindacato.