Appena ricevuto l’incarico per formare il nuovo governo, Tsipras ha fatto due cose per niente formali: è andato a Kesarianì, dove, nel 1944 200 partigiani greci furono fucilati da fascisti e nazisti, e si è rifiutato — primo presidente del consiglio nella storia del paese – di baciare la Bibbia e inginocchiarsi davanti al capo della Chiesa Ortodossa. Tanto per chiarire gli equivoci che avrebbero potuto nascere sulla scelta compiuta: l’accordo con Panos Kammenos, leader di Anel, i greci indipendenti fuorusciti da «Nuova Democrazia», 13 deputati decisamente di destra e ossequienti alla religione.
Equivoci infatti nell’immediato ce ne sono stati. Quando la notizia della decisione ha cominciato a diffondersi ero ancora ad Atene e ho così potuto condividere con qualche compagno di Siryza le reazioni all’accaduto. Inutile negare: sorpresa, imbarazzo, anche incomprensione. Peggio quando ho incrociato gli italiani della Brigata Kalimera che si erano attardati a rientrare in patria dopo la festosa nottata di domenica. Dio mio, il patto del Nazareno?
Io credo che il nostro compagno Alexis abbia fatto la cosa giusta. E da quel che mi dicono al telefono gli stessi che lunedì mattina manifestavano le loro perplessità mi sembra che, nel suo insieme, il partito, passato il primo momento, abbia capito il senso della scelta compiuta da Tsipras-primo ministro. Che peraltro non tradisce il mandato del comitato centrale di Siryza, l’ultimo prima del voto: nessun compromesso con chi ha firmato l’odioso Memorandum della Troika. Gli unici a non averlo fatto – se si escludono i fascisti di Alba dorata – sono proprio quelli di Anel. Anche il Kke, naturalmente, che con i suoi ben 15 deputati avrebbe potuto costituire la più ovvia delle alleanze. Ma sapete tutti che gli ultimi filosovietici (chissà di quale Urss), sin dall’inizio hanno detto che non avrebbero mai collaborato con un governo di Siryza perché pro-europea. Salvo, subito dopo la sua clamorosa vittoria, aprire uno spiraglio ad un voto positivo su singoli provvedimenti che «il popolo» (cioè il Kke) giudicherà buoni. Troppo poco per formare il governo, che aveva bisogno, subito, di almeno altri due deputati, non male in prospettiva.
Lasciamo da parte l’equazione più assurda ( quella Tsipras = Renzi), pur evocata da qualche sconsiderato twitter, e per due buone ragioni: Siryza ha fatto una campagna elettorale in cui la sua identità di sinistra è stata sempre riaffermata con grande forza e , coerentemente, il suo programma è tutto mirato a dare rappresentanza agli interessi dei più poveri (il contrario del job act, come è stato scritto). Inoltre il compromesso con Anel è limpido e «di scopo»: chiaramente limitato alla durissima contrattazione con la troika.
Si tratta di una scelta molto dura, coraggiosissima e anche rischiosa come tutto ciò che si fa per coraggio. Sarebbe stata più facile una prudente alleanza con i centristi, che avrebbero però condizionato il governo pesantemente, spingendolo ad una logorante mediazione, e poi a un parziale cedimento. Era quello che auspicava Bruxelles. Tsipras ha deciso invece di andare al braccio di ferro. Perchè quello che Siryza chiede non è un aggiustamento un po’ meno rigoroso, ma un mutamento sostanziale della linea di politica economica dell’Unione Europea. Per questo non si è limitata a chiedere una dilazione nel pagamento del proprio debito ma una Conferenza straordinaria che affronti il problema della crisi, non solo della Grecia, in tutta la sua complessità. Vale a dire l’occasione per affrontare non solo le magagne greche, ma anche quelle degli altri paesi, per varare regole nuove e diverse da quelle stabilite nel 2012 dal trattato sui bilanci. A cominciare da una unificazione della politica fiscale, per porre fine alla pratica del dumping allegramente usata dai più forti, e di un più intelligente rapporto fra livello del deficit e livello degli investimenti.
Il nuovo esecutivo non tradisce il mandato del comitato centrale della Sinistra Radicale greca che è: «Nessun compromesso con chi ha firmato l’odioso Memorandum della Troika»
È ben paradossale che la troika, e con lei tutti i c.d. benpensanti europeisti, stia facendo due cose assolutamente contraddittorie: accusare la Grecia di aver sperperato danaro e perfino di aver falsificato i propri bilanci e insieme auspicare che restino al comando proprio gli stessi colpevoli di questa bancarotta fraudolenta. Non potrebbe esserci prova migliore che quanto interessa Bruxelles non è la sorte dell’Europa, ma la salvaguardia degli interessi che difendono, gli stessi che serve Samaras e i governi che oggi dettano legge nell’Unione. I quali sono responsabili di gran parte del debito accumulato da Atene: la tragedia di Acebes, dove un F16 greco è precipitato producendo un disastro, è drammaticamente lì a ricordarcelo nel giorno in cui Alexis diventa primo ministro. Chi mai ha insistito perché quegli aerei venissero acquistati? La logica è sempre la stessa, da quando il problema del debito, negli anni ’80, è esploso in Africa e America latina: i governi occidentali hanno agito come i «puscher» con la droga, aprendo le loro borse al credito perché paesi che avevano ben altre priorità acquistassero merci e servizi superflui, impegnandosi il patrimonio pubblico. Ho detto che la scelta di non annacquare il confronto con Bruxelles è molto coraggiosa, perchè c’è da attendersi una risposta durissima. Le prove per Tsipras e l’intera sinistra greca saranno difficilissime e la nostra solidarietà — se saprà essere dettata dalla testa oltre che dal cuore — essenziale. Ben sapendo tutti che per vincere non basterà respingere il diktat della troika, ma avviare un modello di produzione, di consumo, di organizzazione della società diverso da quello attuale: una maggiore liquidità se si continueranno a fare le stesse cose — supermarket, speculazione edilizia, spreco — non servirà a molto. Per questo non basta invocare politiche keynesiane di intervento pubblico, occorre anche indicare quale e per quale tipo di sviluppo. A questo progetto Anel non servirà, ma c’è tempo per creare, nella società oltre che in parlamento, un consenso sui progetti di più lungo periodo. È un tema che dovrà essere al centro della riflessione di tutta «L’altra Europa», perché non riguarda solo la Grecia, ma tutti noi. Ne abbiamo abbastanza per i prossimi anni.
Intanto, forza compagni di Siryza, per ora si è almeno svelata la stupidità di Bruxelles che si comporta come Buridano (o Melchisedecco, non ricordo) col suo asino: «Che peccato — aveva esclamato — proprio ora che gli avevo insegnato a non mangiare, è morto».
P.S. Il ministero della difesa in mano ad Anel? Vista la tradizione greca, crearsi qualche punto d’appoggio contro eventuali avventure dei militari, non è un brutta idea.