La retromarcia di Sullivan, il re dei blogger “Basta col digitale, torno alla vita reale”

La retromarcia di Sullivan, il re dei blogger “Basta col digitale, torno alla vita reale”

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NEW YORK . «Smetto di scrivere questo blog, sono saturo della vita digitale. Voglio tornare nel mondo reale. Leggere lentamente, attentamente. Scrivere un libro». Questo addio alla Rete fa scalpore. A dare l’annuncio è il padre di tutti i blogger, un vero pioniere del giornalismo online. Andrew Sullivan, 51enne inglese, residente da una vita a Washington, con una lettera aperta ai propri seguaci (almeno un milione al mese) chiude 15 anni di lavoro nella blogosfera. Lo fa con un gesto clamoroso, che sa quasi di abiura. Perlomeno un ripensamento, una presa di distanza da questa forma di comunicazione ultra-veloce, sintetica, sincopata. Moderna, certo, non per questo migliore. «Sono un essere umano — scrive Sullivan — prima di essere un autore. Sono uno scrittore prima di essere un blogger. Anche se è stato un privilegio aver contribuito da pioniere alla diffusione di questo nuovo modo di scrivere, sento il bisogno di altre forme, più antiche. Voglio avere un’idea e lasciare che prenda forma lentamente, invece di metterla subito sul blog. Voglio scrivere lunghi saggi che rispondano in modo più approfondito e più sottile alle questioni che si sono presentate in questi anni».
L’addio al digitale e alla blogosfera non nasce da delusioni. Sullivan se ne va quando ancora è all’apice della sua carriera. Il suo Daily Dish è stato davvero un modello inedito, imitato da tanti. «Piatto quotidiano», è la traduzione letterale della testata, che fin dall’origine ebbe l’ambizione di offrire un concentrato autosufficiente d’informazione e commento (ma anche con una strizzatina d’occhio alle tecnologie visto che dish può indicare la parabola satellitare). Primo blog politiva fu creato nel 2000, «in un’epoca in cui dovevo spiegare a chiunque incontrassi il significato della parola blog», ricorda Sullivan.
L’autorevolezza iniziale venisima dalla caratura di Sullivan, già celebre saggista e commentatore politico per il settimanale The New Republic . Dish ebbe il suo battesimo di fuoco nel novembre del 2000 con la contestatisco, sfida tra George Bush e Al Gore, le irregolarità nello scrutinio in Florida, la sentenza della Corte suprema che “regalò” la Casa Bianca al repubblicano. Poi «abbiamo vissuto insieme in presa diretta l’11 settembre», ricorda ancora Sullivan nel suo commiato. Il suo seguito continuava ad allargarsi, Dish venne ospitato sui siti Internet del magazine Time, poi The Atlantic, quindi The Daily Beast. Fino a spiccare il volo da solo, quando Sullivan trasformò il suo blog in un media indipendente.
Due anni fa, l’appello ai lettori per il “crowdfunding” ebbe un risultato trionfale: 30.000 abbonati, un milione di contatti al mese e un milione di dollari di fatturato all’anno, una crescita annua del 17%. Altri hanno raggiunto dimensioni superiori, come The Huffington Post, ma allargando i contributi dei blogger a tematiche generaliste: dal sesso al gossip sulle star. The Dish resta specializzato nell’informazione e analisi politica, ed è un gioiello del settore: per qualità, autorevolezza. «Non abbiamo mai ceduto alle sirene del clickbait », rivendica con orgoglio Sullivan, alludendo a quei metodi per aumentare i “clic” (contatti) e quindi il fatturato pubblicitario. Vietato anche il cosiddetto “contenuto sponsorizzato”, pubblicità nascosta che dilaga in altre testate. Dunque Sullivan non si pente di nulla, non ha niente di cui vergognarsi: la sua è l’ammissione di un limite, e la rivalutazione di media più adatti allo spessore, alla profondità.
Quest’ultimo colpo di scena viene ad aggiungersi ad una lunga serie. Nella sua vita personale, Sullivan è sempre stato controcorrente. Gay dichiarato, ora sposato col suo compagno, cattolico fervente e praticante, è un raro caso di “teo-liberal”. Ha appoggiato Barack Obama e molte battaglie della sinistra più radicale, inclusa la liberalizzazione della marijuana, pur rimanendo «moralmente conservatore». La sua pratica per la Green Card (residenza permanente negli Usa) fu ritardata a suo tempo quando ammise di essere Hiv-positivo.


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