Lo Stato Islamico penetra in Libano

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Le con­trad­di­zioni liba­nesi, i set­ta­ri­smi mai sopiti, sono esplosi insieme alle due bombe che sabato sera hanno dila­niato il quar­tiere ala­wita Jabal Moh­sen, a Tri­poli. Due gio­vani liba­nesi imbot­titi di tri­tolo si sono fatti sal­tare in aria, indi­ret­ta­mente mossi dai burat­ti­nai arabi. Per­ché in Libano è in corso lo stesso pro­cesso che insan­guina la Siria e l’Iraq: la ride­fi­ni­zione dei con­fini e delle aree di influenza, la guerra per pro­cura tra Iran e Ara­bia Sau­dita, sotto le vesti dello scon­tro poli­tico tra Hez­bol­lah e il movi­mento di Hariri.

A riven­di­care l’azione di sabato è stato il Fronte al-Nusra, gruppo qae­di­sta attivo in Siria e vicino allo Stato Isla­mico di al-Baghdadi. Il tea­tro non poteva che essere Tri­poli, ter­reno di scon­tro poli­tico e mili­tare tra i sun­niti – arroc­cati nel quar­tiere di Bab al-Tabbaneh – e gli ala­witi sciiti di Jabal Mohsen.

Secondo i ser­vizi segreti, i due atten­ta­tori ave­vano tra­scorso le ultime set­ti­mane nella regione di Qala­moun, al con­fine con la Siria, pal­co­sce­nico incan­de­scente dell’infiltrazione di jiha­di­sti e scon­tri tra estre­mi­sti sun­niti e eser­cito liba­nese. La stessa regione in cui pochi giorni fa l’Isis ha pro­cla­mato la nascita dello Stato Isla­mico di Qala­moun, dalle mon­ta­gne di Zaba­dani a quelle di Halayem, vicino alla città di fron­tiera di Arsal.

Sareb­bero un migliaio, secondo fonti dell’intelligence liba­nese, i mili­ziani di al-Nusra e Isis entrati in Libano negli ultimi mesi, pronti ad obbe­dire all’ordine di al-Baghdadi, la defi­ni­tiva incur­sione nel paese dei Cedri: un calif­fato che non corra più dalla pro­vin­cia ira­chena di Diyala alla città siriana di Aleppo, ma che da Diyala pro­se­gua inin­ter­rotto fino a Beirut.

A gover­nare la zona sono due emiri, Abu Malik al-Talli del Fronte al-Nusra, e Abu al-Walid al-Maqdisi per il califfo. E sep­pur non man­chino faide interne ai due gruppi dopo il gran rifiuto di al-Talli a giu­rare fedeltà ad al-Baghdadi, Qala­moun è oggi un’area dove l’assenza dello Stato è assor­dante, sosti­tuito dal con­trollo jiha­di­sta. Pochis­simi i chec­k­point mili­tari di Bei­rut e tutti con­cen­trati al con­fine con lo “Stato Isla­mico”, dove i mili­ziani hanno creato un pro­prio sistema di leggi e godono di vie effi­cienti per rifor­nirsi di armi, car­bu­rante e vei­coli mili­tari dalla vicina Siria.

Al dop­pio attacco di sabato sono seguite con­danne da ogni fronte, dal lea­der di Hez­bol­lah Nasral­lah all’ex pre­mier Saad Hariri. Misure imme­diate sono state prese anche dal fram­men­tato governo di Bei­rut, che negli ultimi mesi ha rea­gito all’escalation di vio­lenza facen­done pagare il prezzo ai rifu­giati siriani e pale­sti­nesi, quasi del tutto impos­si­bi­li­tati a rag­giun­gere il ter­ri­to­rio libanese.

L’attuale situa­zione, defi­nita dai ser­vizi segreti «il momento più peri­co­loso» dalla fine della guerra civile nel 1990, si tra­duce nella divi­sione set­ta­ria del paese tra zone con­trol­late da Hez­bol­lah, dalle mili­zie druse, dai qae­di­sti di al-Nusra, da sac­che di sala­fiti e dallo Stato Isla­mico. A monte sta l’incapacità delle auto­rità liba­nesi ad eser­ci­tare il con­trollo del paese e le mosse dei regimi arabi impe­gnati in una guerra per pro­cura dal Libano all’Iraq.

Da oltre sette mesi il paese dei Cedri non ha un pre­si­dente a causa dei dis­sidi interni alle fazioni poli­ti­che e alle impo­si­zioni che arri­vano da Riyadh e Tehe­ran. Die­tro, lo spet­tro della guerra civile siriana con Hez­bol­lah da subito al fianco del pre­si­dente Assad e l’ex pre­mier Hariri – legato a dop­pio filo all’Arabia Sau­dita – che tesse rela­zioni con le oppo­si­zioni mode­rate a Damasco.

«L’Arabia Sau­dita, dopo aver finan­ziato i gruppi sun­niti estre­mi­sti per por­tare al col­lasso del governo di Assad in Siria, si ritrova oggi a dover cam­biare stra­te­gia anche in Libano – spiega al mani­fe­sto l’analista pale­sti­nese Nas­sar Ibra­him – A monte i nego­ziati tra Iran e 5+1 e l’eccessiva forza dell’Isis, che si sta rivol­gendo con­tro i suoi stessi crea­tori. Riyadh deve oggi far risa­lire in vetta il suo più stretto alleato in Libano, Saad Hariri, stru­mento sau­dita fin dalla guerra civile: la fami­glia Hariri riceve da decenni ingenti finan­zia­menti, soldi con i quali Rafic Hariri, padre di Saad, ha creato un impero, costruito scuole e ospe­dali, gestito università».

«L’obiettivo è lo stesso di quello per­pe­trato in Siria: l’indebolimento dell’asse sciita che in Libano è rap­pre­sen­tato da Hez­bol­lah. Eppure, nono­stante gli sforzi, buona parte della popo­la­zione liba­nese, non solo sciita, appog­gia il Par­tito di Dio. Per que­sto, se prima Riyadh cer­cava di rag­giun­gere il suo scopo sul piano poli­tico, impo­nendo le nomine isti­tu­zio­nali (dall’occupazione fran­cese, per legge, il pre­si­dente deve essere cri­stiano maro­nita, il pre­mier sun­nita, il pre­si­dente del par­la­mento sciita, ndr), oggi agi­sce attra­verso gruppi estre­mi­sti sunniti».

«L’attuale insta­bi­lità del governo liba­nese è figlia dello scon­tro regio­nale: la comu­nità inter­na­zio­nale impose la divi­sione set­ta­ria delle cari­che sta­tali e da sem­pre a distri­buire le pol­trone sono stati Riyadh, Tehe­ran e Dama­sco – con­clude Ibra­him – La debo­lezza di oggi è frutto del più vasto con­flitto in corso nella regione».



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