Ieri, infatti, è stato «sottratto» alla segretezza il testo con cui l’Ue vuole proporre agli Usa di avviare col Ttip una «cooperazione» per rendere più simili tra i nostri Paesi non solo prodotti e servizi, ma standard di qualità, di sicurezza, leggi e regole, avendo come priorità non la protezione dei diritti e dei livelli di garanzia più alti a disposizione, ma l’abbattimento dei costi per le imprese e la facilitazione dei loro affari. Gli elementi più imbarazzanti sono quattro. Innanzitutto che uno Stato o un organismo di regolazione prima di introdurre una nuova regola, anche la più ragionevole, che possa avere un influsso sul commercio transatlantico, debba comunicarlo all’altra parte, esponendosi, così, a un potenziale fuoco incrociato delle rispettive imprese che attualmente hanno a libro paga il più consistente numero di lobbisti ed esperti a difenderli. In secondo luogo che ogni regola nuova dovrà essere sottoposta ad una valutazione d’impatto che assicuri che in nessun modo ne danneggi commercio o investimenti. Se un portatore d’interesse, poi, si sentirà leso da una regola o uno standard annunciato, si dovrà aprire obbligatoriamente un tavolo per risolvere il problema, anche a livello di Stati membri. Infine non saranno più gli Stati o i livelli regionali, ma per l’Europa la Commissione e per gli Usa l’Office of Information on Regulatory Affairs (Oira), regolarmente contestato per opacità dalle associazioni dei consumatori, a guidare l’organismo che manderà avanti questo processo e che dovrà, leggiamo all’art. 15, «prestare accurata considerazione» alle proposte delle imprese sulle regolazioni esistenti e future.
Sono passate poche settimane dal richiamo mosso alla Commissione Ue dall’Ombusman, l’autorità per il buon funzionamento delle istituzioni europee, che le chiedeva maggiore trasparenza e coinvolgimento degli Stati membri e dei cittadini nel Ttip, oltre che rispetto per la giustizia ordinaria e per i processi normativi esistenti. È passato ancor meno da quando la Commissaria al Commercio Cecilia Maelstrom ha dovuto ammettere che oltre l’80% delle risposte alla consultazione online aperta dalla Commissione stessa sull’opportunità di introdurre nel Ttip la possibilità per gli investitori privati di far causa a quegli Stati che avessero o introducessero regole che ne danneggiassero gli interesse presenti, passati o futuri, si era espressa per un secco no. In Europa, però, c’è chi preme perché quest’operazione continui come se nulla fosse. Popolari e Socialdemocratici sembrano voler imporre a maggioranza in Parlamento un parere, atteso per il prossimo maggio, di pieno appoggio al Ttip nonostante la contrarietà cresca nell’opinione pubblica. Per questo la Campagna Stop Ttip Italia ha lanciato sul suo sito (stop?-ttip?-ita?lia?.net) la raccolta di firme che chiede di bloccare immediatamente i negoziati e che ha già superato quota 1 milione e 500mila no in tutta Europa. Dopo l’approvazione anche in Comune di Milano di un ordine del giorno che chiede lo stop delle trattative, la Campagna intensificherà le pressioni sui parlamentari europei e nazionali e gli incontri pubblici preparandosi al 18 aprile, quando si celebrerà la prima giornata transatlantica di mobilitazione. Perché il Ttip è il cavallo di Troia per imporre gli interessi dei più forti sui diritti di tutti nel cuore delle istituzioni europee. E bisogna fermarlo subito, prima che sia troppo tardi.
*Vicepresidente dell’associazione Fairwatch, tra i promotori della Campagna Stop Ttip Italia. Per firmare la petizione, leggere tutti i testi del trattato e le prossime iniziative www?.stop?-ttip?-ita?lia?.net