Nata nel 1988 a Villiers sur Marne, Hayat rimane orfana della mamma all’età di sei anni. In casa ci sono altri sei fratelli e il papà non ce la fa, così a otto anni, viene affidata ai servizi sociali. Studia quanto può, si arrangia, a 19 anni trova un lavoro come commessa in un supermercato di Juvisy a Sud di Parigi. E’ più o meno il periodo in cui conosce Coulibaly. Un “piccolo criminale”, lo definiscono senza tanti giri di parole gli investigatori. Furti, rapine, droga. E pure qualche anno di carcere. Al termine del quale, però, Amedy cerca di mettere la testa a posto. Si fidanza con Hayat. Trova lavoro presso la Coca- Cola di Gragny, un lavoro che gli permetterà persino di incontrare Sarkozy nell’ambito di un programma governativo per mostrare ai ragazzi difficili “il volto di quelli che ce la fanno”.
Ma Coulibaly sta sviluppando una sorta di doppia vita, in carcere aveva fatto una conoscenza pesante, quella di vecchio terrorista- predicatore arrestato per l’attentato all’ambasciata Usa a Parigi, Djamel Beghal. Il rapporto tra i due prosegue anche fuori dal carcere. Tanto che alla fine Beghal parla di Amedy come del suo discepolo prediletto. Che infatti gli dà retta. Aumenta le frequentazioni con il suo amico Cherif Kouachi, uno dei due fratelli dell’assalto a Charlie Hebdo. Sposa con rito religioso Hayat, lascia il lavoro alla Coca-Cola, cerca di seguire i precetti del Corano. Cerca, perché un po’ per temperamento, un po’ per cultura non ci riesce: «Amedy non era molto religioso – racconterà in seguito alla polizia Hayat – Ama divertirsi, è fatto così. Gli uomini dovrebbero andare in moschea tutti i venerdì, lui ci andrà una volta ogni tre settimane ». Lei invece fa sul serio. Smette i suoi panni occidentali – in casa ha ancora foto che la ritraggono in bikini – indossa il burka, lascia il lavoro da cassiera e si dedica completamente al marito. Lo segue. Un paio di volte c’è lei agli incontri con Beghal, “anche se non nella stessa stanza”, in uno di questi incontri i due vengono addestrati a sparare con una pistola- balestra, quella delle foto.
Nel 2010, Amedy viene arrestato. Faceva parte del piano per far evadere Ait Ali Belkacem Smaïn, terrorista condannato per gli attentati alla metro di Parigi del 1995. Durante le perquisizioni gli agenti gli trovano 240 cartucce di calibro 7,62 per fucili d’assalto. Hayat sempre più devota l’aspetta per quattro anni. Nel maggio dello scorso anno è fuori dal carcere ad accoglierlo all’uscita. I due si riabbracciano e si trasferiscono in un residence a Fontenay-aux-Rose, vicino Parigi. Alla moschea della vicina Bagneaux raccontano di una coppia normale. I vicini parlano di due ragazzi tranquilli, «nonostante il burqa». «Recentemente, però – racconta un ragazzo – li ho visti che stavano mettendo libri e altre cose dentro grossi scatoloni, tanto che ho pensato si stessero trasferendo». No, non si stavano trasferendo.
Probabilmente quella è stata l’ultima volta che qualcuno li ha visti, prima della sparatoria di Montrouge. Sparatoria alla quale, contrariamente a quanto creduto sino a oggi grazie alla testimonianza di un tassista, Hayat non ha partecipato. Secondo fonti dei servizi segreti il 2 gennaio avrebbe raggiunto Madrid in auto, accompagnata dal fratello di un “personaggio noto” all’intelligence. E da Madrid si sarebbe imbarcata su un volo per Istanbul. «Se ci avessero avvertito l’avremmo fermata», polemizzano ora dalla Turchia. Ma a Parigi non avevano ancora capito cosa stesse succedendo. La donna aveva un biglietto con ritorno previsto per il 9 gennaio. Ma quel giorno il posto a bordo è rimasto vuoto. Pare che solo un bagaglio sia stato imbarcato da qualcuno e poi sbarcato dalla sicurezza.
Quanto a Hayat, secondo le carte arrivate al procuratore Molin, la notte dell’8 gennaio, mentre suo marito uccideva l’agente Clarissa Jean Philippe iniziando il suo viaggio verso il martirio, lei varcava la frontiera attraverso Urfa, nel Sud Est della Turchia. Di lì a poco sarebbe diventato un fantasma, in Siria.