La Francia si scopre in guerra blitz, 20 morti in tre giorni e città sotto assedio “Tutti uniti contro la jihad”

La Francia si scopre in guerra blitz, 20 morti in tre giorni e città sotto assedio “Tutti uniti contro la jihad”

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PARIGI- FUORI dalla moschea, nella metropoli e nell’Ile de France che la circonda, l’atmosfera era cupa. La peggiore giornata parigina a memoria d’uomo. In alcuni quartieri il traffico era interrotto e la metropolitana non funzionava. I viali periferici erano chiusi per lunghi tratti. Due tragedie, sul punto di concludersi con morti e feriti, si stavano svolgendo alle due estremità della capitale: a Dammartin-en-Goèle, verso l’aeroporto di Roissy, e in direzione opposta, alla Porta di Vincennes. Il primo atto della strage cominciata mercoledì, 7 gennaio, nella redazione di Charlie Hebdo , stava per chiudersi. Gli assassini raggiungevano nella morte le vittime. E con loro qualche ostaggio ignaro del dramma che l’aveva travolto. L’ultimo atto? Non sono in pochi a pensare che l’offensiva jihadista, in Francia, in Europa, sia appena cominciata.
La moschea Omar Ibn Khattah è frequentata da musulmani vincolati alla tradizione che si dichiarano repubblicani, ossia democratici. Cosi viene giudicata. L’imam ha confermato la reputazione esortando i fedeli, venuti numerosi per la preghiera del venerdì, a partecipare alla “manifestazione repubblicana” di domani, indetta per esprimere solidarietà alle vittime della strage del Charlie Hebdo . Grande raduno in cui dovrebbe esserci tutta la Francia. Compreso il Front National che i sindacati e parte della sinistra volevano escludere. Marine Le Pen, che nell’atmosfera da unione sacra è stata ricevuta nella mattina dal presidente della Repubblica, forse preferirà restare a casa. Ma non sono state pronunciate proibizioni ufficiali. François Hollande ha detto che la manifestazione sarà aperta a tutti. Vi dovrebbero dunque essere rappresentate tutte le religioni (cattolici, protestanti, musulmani, ebrei) e tutte le tendenze politiche. Un’unione invocata ed esaltata ma con tante incognite, una volta nelle strade di una Parigi ancora ferita. Sarà il secondo atto del dramma: quello delle passioni politiche e comunitarie attizzate dalle morti di vittime e assassini. Alla manifestazione repubblicana parteciperanno alcuni leader europei: Merkel, Cameron, Renzi.
Gli assedi della porta di Vincennes e di Dammartin-en-Goéle erano ancora in corso quando l’imam della moschea Omar Ibn Khattah lanciava l’invito alla manifestazione repubblicana di domenica. A quell’ora lo stesso invito era pronunciato in quasi tutte le moschee di Francia. Dove si ripeteva quanto avevano già detto i principali capi musulmani, in particolare l’autorevole imam di Drancy, Hassen Chal Ghoumi. I fratelli Kouachi, Cherif e Said, erano asserragliati in una piccola stamperia, situata nella zona industriale non lontana da Roissy e avevano un ostaggio che usavano come scudo. Ma chi era nella moschea immaginava la fine dell’assedio. I fratelli Kouachi avevano ripetuto che sarebbero morti «da martiri». Quindi sarebbero usciti allo scoperto, come poi è accaduto, scaricando i loro kalashnikov contro l’invincibile anello di gendarmi che stringeva il loro effimero rifugio. Asserragliato nella drogheria kasher, frequentata dalla comunità ebraica della zona, Amedy Coulibaly aveva catturato cinque ostaggi, e li teneva a bada con i due kalasnikov usati il giorno prima, a Montrouge, nell’Alta Senna, per uccidere o senza alcuna ragione una giovane donna, allievo vigile urbano, e per ferire un altro agente addetto al traffico. Forse voleva attirare l’attenzione. Un’azione spettacolare e spietata avrebbe al- lentato l’impegno delle forze speciali in quelle ore alla ricerca dei suoi amici e complici. Asserragliato nella drogheria della porta di Vincennes, Amedy Coulibali pensava sempre ai suoi complici. Proponeva invano alla polizia che circondava l’edificio, e non gli consentiva alcun scampo, di rilasciare i suoi cinque ostaggi in cambio della liberazione dei fratelli Cherif e Said. Neppure per lui ci si illudeva nella moschea. I fedeli non rispondevano alle domande dei giornalisti. Erano indignati. Scuotevano la testa quando sentivano i nomi dei jihadisti. Un giovane ha spiegato che non potevano essere che provocatori al soldo di Israele. Non è musulmano chi si comporta a quel modo.
La moschea Omar Ibn Khattah, in via Jean-Pierre Timbaud, nell’11esimo arrondissement, è a un quarto d’ora a piedi dalla redazione di Charlie Hebdo dove nelle ore della preghiera del venerdì si lavavano le tracce di sangue e si facevano gli ultimi rilievi per l’autorità giudiziaria. Quando l’imam ha esortato con calore i fedeli a partecipare alla manifestazione di domenica in segno di solidarietà alle dodici vittime del 7 gennaio nessuno ha annuito. Nessun cenno ostile, ma neppure d’approvazione. Non era necessario. Forse non si esprimono i propri sentimenti in queste occasioni. Ma certo non si è notato un assenso corale che avrebbe dissipato eventuali dubbi, anche ingiustificati. E tuttavia un quarantenne con cappotto e sciarpa, quasi leggesse i pensieri, ha spiegato che sarebbe imbarazzante partecipare a una manifestazione in cui vieni guardato da molti come un naturale complice degli assassini, che invece tu detesti perché oltre a uccidere hanno esposto una comunità a ondate di odio non meritato. Si prevede comunque che molti musulmani saranno domani sulle piazze parigine.
I fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly si conoscevano da tempo. Cherif, il più giovane dei fratelli, e Amedy (e probabilmente la sua fidanzata Hayat Boumedienne) appartenevano alla stessa cellula già anni fa. Alla cellula detta delle Buttes de Chaumont, il nome di un bosco del 19 esimo arrondissement, dove si era formata un’associazione salafista, che convinceva i giovani a raggiungere l’Iraq e la Siria, e che predicava l’ideologia tafkiri, una corrente del pensiero dell’islam radicale sunnita. Contrario ai governi e in generale all’organizzazione della società che non rispetta i precetti del Corano, cosi come sono interpretati dal salafismo. Mentre erano in corso gli assedi della Porta di Vincennes e di Dammartin è emerso con chiarezza che la strage del Charlie Hebdo non è stata compiuta da due terroristi isolati, ma è stata preparata da uomini appartenenti alla stessa cellula che avevano concertato un’operazione destinata a inasprire i rapporti tra la comunità musulmana e la società francese, e naturalmente a esaltare il jihadismo. Quali organizzazioni avevano alle spalle Said e Cherif? Il califfato concorrente di Al Qaeda o i gruppi sguinzagliati in Europa da Al Qaeda per non lasciarsi emarginare dal califfato? La morte dei terroristi non aiuta i servizi di informazione.
Il desiderio di punire Charlie Hebdo per le caricature di Maometto ha fatto scegliere come vittime i disegnatori del settimanale satirico, ma il clamore che avrebbe suscitato l’assalto a un giornale ha contribuito alla decisione. I due fratelli terroristi e il loro complice avevano un macabro senso della pubblicità. L’hanno ereditato dagli uomini del califfato che quando tagliano le teste fanno dei video da mostrare con fierezza al mondo. O la vocazione al martirio, ossia la convinzione di dover pagare la loro azione con la morte, li avvicina ai vecchi metodi terroristici. La vigliacca uccisione della donna, allievo vigile urbano, compiuta a Montrouge da Amedy Coulibaly protetto da un giubbotto antiproiettili, e armato da due kalashnikov, ha rivelato una ferocia gratuita. Tanta potenza di fuoco per una giovane inerme, al solo fine di suscitare scalpore, ha spiegato come poche ore dopo gli ostaggi della Porta di Vincennes siano stati sacrificati. Questa crudeltà ricorda Sarqaui, lo spietato capo dell’Al Qaeda irachena, ucciso dagli americani e al quale si ispira Baghdadi, il capo dello stato islamico, suo successore. È un’analisi dell’orrore, che sconcertava i fedeli della moschea parigina dell’11 esimo arrondissement.
L’islamofobia, dopo la strage a Charlie Hebdo , si è manifestata in tante regioni. Scritte sulle facciate delle moschee: “Islam ti elimineremo”, “Morte agli arabi”. Colpi d’arma da fuoco sparati nella notte e ordigni artigianali lanciati oltre i muri di cinta. La sera le strade di Parigi erano semideserte. Gli assedi si erano conclusi con la morte dei terroristi, ma anche con quella degli ostaggi di Vincennes. Nei momenti cruciali François Hollande ha dato l’impressione di prendere le decisioni importanti. A tratti si è spostato nel ministero degli interno, nella piazza Beauveau, attigua al Palazzo dell’Eliseo. E si è rivolto più volte al paese. Conclusi gli assedi, ha avvertito che le minacce non si sono dissipate. Didier Tauzin, generale delle forze speciali, è più diretto. Dice che c’è un’offensiva in corso contro la Francia. «E che è soltanto all’inizio». La morte dei terroristi non ha placato i timori.


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