MILANO Alla fine si torna sempre alla metafora della coperta troppo corta: quest’anno le Regioni subiranno una riduzione delle risorse erogate dallo Stato di 3,5 miliardi di euro. E come faranno mai gli enti regionali a compensare questo mancato flusso in arrivo da Roma? La risposta sta nel decreto legislativo 68 del 2011 sul federalismo regionale e in altri leggi, che per quest’anno, come spiegano i tecnici della Cgia di Mestre, ampliano al massimo l’autonomia tributaria delle Regioni. Nel caso specifico, per l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Se nel 2012 e nel 2013 l’aliquota massima consentita arrivava fino all’1,73% e nel 2014 saliva al 2,33%, da quest’anno gli enti locali potranno applicare un’aliquota fino al 3,33%.
Non solo, perché in un guazzabuglio di leggi in materia di federalismo fiscale, alcune Regioni in deficit sanitario che non raggiungono alcuni obiettivi di rientro, non solo possono, ma devono aumentare le tasse. Con un’aggravante: «se il deficit sanitario è particolarmente grave — spiega la Cgia — le Regioni sono obbligate a un piano di rientro, mancato il quale scattano ancora le aliquote dell’addizionale regionale di un ulteriore 0,3 per cento oltre la misura massima prevista dalla legislazione vigente». In un cortocircuito in cui gli enti locali inadempienti vengono sì penalizzati, ma a danno dei portafogli dei cittadini.
Il Molise ad esempio, arrivato ad ottobre 2014 con un esercizio 2013 che aveva mancato alcuni obiettivi, è stato «bocciato» dal «tavolo per la verifica degli adempimenti e il comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza». Che hanno il compito di monitorare l’attuazione dei piani di rientro dei deficit sanitari delle Regioni. E così, ha fatto sapere il Tesoro con una nota consultabile sul suo sito Internet, «per l’anno d’imposta 2014, nella suddetta Regione, si sono realizzate le condizioni per confermare l’applicazione automatica delle maggiorazioni dell’aliquota dell’Irap nella misura di 0,15 punti percentuali e dell’addizionale regionale Irpef, nella misura di 0,30 punti percentuali».
E nelle altre Regioni? Per ora, come ha evidenziato uno studio degli artigiani di Mestre, sono solo cinque i governatori che hanno modificato le addizionali Irpef ma con un numero di contribuenti che rappresenta il 41,4% del totale nazionale. Le Regioni interessate sono Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia e Piemonte. Escluso dall’analisi il Lazio che, seppur in una seduta notturna di consiglio del 30 dicembre ha approvato una superaliquota del 3,33% si è riservato di presentare, entro aprile, un’ulteriore legge regionale per esentare i redditi più bassi. Ma per le altre cinque Regioni, gli aumenti scatteranno a partire da quest’anno con le trattenute a decorrere dal 2016: in generale per i lavoratori dipendenti il pagamento sarà detratto dalle buste paga nel conguaglio di fine anno mentre per i lavoratori autonomi la spesa sarà da mettere in conto durante la dichiarazione dei redditi.
Gli aumenti, come si legge nel grafico, vanno dai 32 ai 38 euro dell’Abruzzo con un rincaro che varrà per quasi tutti i livelli di reddito, fino a toccare i 1.560 euro in più per i redditi più elevati della Liguria dove i contribuenti con più di 25 mila euro si troveranno invece a pagare 58 euro di differenza rispetto all’anno precedente. In Piemonte l’incremento Irpef comporterà un inasprimento della tassazione significativo da 30 mila euro in su: se per i redditi più bassi infatti l’aumento sarà pari a zero, per quelli oltre la soglia dei 30 salirà gradualmente dai 9 fino a 2.500 euro (per la fascia 300 mila).
Secondo questo studio della Cgia, le tasse saliranno soprattutto per i contribuenti con redditi medio alti. In particolar modo in Lombardia dove fino ai 100.000 euro (di reddito imponibile Irpef) non si avvertirà alcuna differenza rispetto all’anno scorso e anzi in alcuni casi potrebbe esserci anche un decremento Irpef. Idem per l’Emilia Romagna dove nelle fasce più basse si pagherà fino a 28 euro in meno.
corinna de cesare