Donna kamikaze si fa esplodere nel centro di Istanbul

by redazione | 7 Gennaio 2015 9:35

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E’ entrata in commissariato avvolta nel niqab nero – il velo islamico integrale – e in buon inglese ha iniziato a spiegare che doveva sporgere denuncia per il furto di un portafoglio. Nulla di strano, nel centralissimo quartiere di Sultan Ahmet, ad Istanbul, zona ad alto tasso di turisti e borsaioli. Proprio quel velo integrale, però, ha insospettito gli agenti della polizia turistica che le hanno impedito l’accesso. Un’istante dopo, la donna si è fatta saltare in aria, uccidendo un poliziotto e ferendone un altro.
Un attacco kamikaze che ha aperto una nuova «prima linea» nell’agenda del presidente Erdogan. In serata, l’attentato è stato infatti rivendicato dal Fronte rivoluzionario della liberazione (DhKp-c), movimento di estrema sinistra inserito nella lista nera del terrorismo da Turchia, Stati Uniti ed Unione Europea,che vanta contatti con l’estremismo islamico e che già la settimana scorsa aveva «firmato» un attacco contro la polizia di guardia all’edificio che ospita gli uffici del primo ministro. In quell’occasione era stato arrestato un uomo, armato di granate e fucile automatico, che aveva poi minacciato nuove azioni del gruppo.
Colpisce la spettacolarità dell’attentato di ieri, a pochi passi dalla celeberrima Moschea Blu e dal museo Aya Sofya, meta in questi giorni di una folla di turisti. «Un poliziotto è uscito urlando sulla piazza e ha iniziato a sparare in aria urlando “allontanatevi, c’è un terrorista suicida qui dentro”», hanno raccontato alcuni testimoni sul posto. In seguito il primo ministro ha spiegato che si trattava di una kamikaze-donna e «soltanto l’intervento tempestivo della polizia, che ha disinnescato altre due bombe» ha evitato danni maggiori.
Un campanello d’allarme per la Turchia che, grazie al processo di pace avviato nel 2012 con i separatisti del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, era riuscita a porre fine ad una lunga e sanguinosa scia di attentati- kamikaze nel Paese. Il Dhkp-c, fronte eversivo molto attivo negli anni Settanta, si era rifatto vivo nel 2013 con un attacco all’ambasciata Usa in cui era morta una guardia addetta alla sicurezza. Poi, almeno ufficialmente, poco o nulla.
Fino al tentato raid di giovedì e all’attentato di ieri, che ha visto di nuovo protagonista una donna. Dalle guerrigliere curde, che lo scorso anno da terroriste sono diventate per il mondo «eroine», grazie alla loro strenua resistenza contro i fondamentali siriani, alle jihadiste che in Nigeria, lo scorso novembre, hanno fatto strage in un mercato nascondendo l’esplosivo sotto i loro hijab, non è la prima volta che una donna decide di immolarsi alla «causa». E, probabilmente, non sarà l’ultima.
Sara Gandolfi
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