by redazione | 22 Gennaio 2015 17:47
«Il Congresso dovrebbe iniziare i lavori per mettere fine all’embargo contro Cuba». La voce di Barak Obama sembrava risuonare ieri mattina al Palazzo delle Convenzioni dell’Avana, mentre entrava la delegazione statunitense guidata dalla vicesegretaria di Stato Roberta Jacobson, coadiuvata da Edward Alex Lee, sottosegretario assistente dell’Ufficio per gli affari dell’Emisfero occidentale del Dipartimento di Stato. La proposta avanzata martedì notte dal presidente Usa nel suo discorso sullo stato dell’Unione contribuiva a dare una patina di storia agli scatti dei fotografi e all’immagini dei cameramen.
I colloqui iniziati ieri tra la più alta delegazione statunitense mai arrivata nell’isola da cinquant’anni e la controparte cubana guidata da Josefina Vidal, direttore generale del Dipartimento Stati uniti del ministero degli Esteri, hanno nei fatti un profilo tutto sommato basso: gli accordi migratori (ieri) e (oggi) i procedimenti per giungere all’apertura di un’ambasciata statunitense all’Avana e una sede diplomatica cubana a Washington.
Il senso politico è ben più consistente — «storico», appunto — in quanto si tratta di compiere i primi, concreti passi dopo l’annuncio dato lo scorso dicembre da Obama e Raúl Castro della ripresa dei rapporti dipolomatici interrotti unilateralmente dagli Usa nel 1961. Come ha detto papa Francesco –citato da Obama– «la diplomazia è fatta di piccoli passi», i quali, sommandosi, possono portare a cambiamenti storici per dare – sempre secondo Obama– «una nuova speranza al futuro di Cuba».
Da parte cubana, si fa professione di meno enfasi e maggiore prudenza. Una «fonte» cubana citata ieri dal quotidiano del Pc Granma, sostiene infatti che «non dobbiamo pretendere che tutti i problemi siano risolti in una sola riunione. La normalizzazione dei rapporti è un processo molto più lungo e complesso, nel quale bisogna affrontare temi che interessano entrambe le parti». E comunque Granma mette in chiaro che «in tema di relazioni finanziarie ed economiche» la distanza è «ancora grande», riferendosi al problema del bloqueo, l’embargo statunitense che resta in vigore perché, essendo una legge federale, può essere eliminato solo dal Congresso Usa, dove però i repubblicani hanno la maggioranza.
Il tema dell’embargo non entra nell’agenda della prima giornata di conversazioni bilaterali, che riguarda i problemi migratori e questioni collegate come il traffico di droga. Questioni all’ordine del giorno perché da dicembre — dopo l’annuncio del ristabilimento delle relazioni diplomatiche — è raddoppiato il flusso di balseros, di cubani che attraversano lo stretto di Florida in imbarcazioni di fortuna o affidandosi a lance veloci gestite da organizzazioni mafiose collegate con gli anticastristi di Miami. La parte cubana farà presente la sua preoccupazione per il mantenimento della legge americana che garantisce di fatto la residenza ai cubani che giungano in suolo statunitense, «favorendo così i tentativi di emigrazione illegale da Cuba».
Nel pomeriggio, però era previsto che le due delegazioni affrontassero «temi bilaterali» più generali, come appunto una «mappa» del percorso da compiere per ridurre o eliminare l’embargo e la questione della chiusura della prigione nella base americana di Guantanamo, oltre al tema, assai delicato, dei diritti umani a Cuba (che sarà ripreso anche nei colloqui di oggi). L’atmosfera nel Palazzo delle convenzioni era comunque orientata verso un cauto ottimismo, soprattutto per quanto riguarda il nuovo «clima» politico. È importante che a capo delle delegazioni vi siano due donne, entrambe con grande esperienza nella diplomazia e che si conoscono e stimano. Che possono dunque trovare un linguaggio comune, meno burocratico, sostiene un membro della delegazione cubana, che non vuole essere citato.
Jacobson, come capo del Dipartimento Emisfero Occidentale, supervisiona il lavoro di 10.000 dipendenti che lavorano in 20 paesi, è la prima donna a raggiungere tale posto al vertice della politica estera Usa e viene definita una «superprofessionale», ma capace di un linguaggio franco e allegro. Anche Vidal, laureta all’Istituto di relazioni internazionali di Mosca e dal 2012 responsabile dei rapporti con gli Usa, è ritenuta, come afferma l’ex diplomatico cubano Carlos Alzugaray, «una eccellente negoziatrice che conosce bene gli Usa.
Riuscirà a capire gli argomenti della controparte e al contempo difendere gli interessi di Cuba». «Non vi è dubbio che la diplomazia è un campo di battaglia», sostiene l’accademico Esteban Morales che ha scritto due libri sui rapporti Cuba-Usa. «Non ci facciamo illusioni – afferma– che gli Usa rinuncino a controllare Cuba, ma questa apertura voluta da Obama apre grandi possibilità per l’isola». Inoltre, «quando si stabiliscono relazioni diplomatiche finiscono i metodi di guerra. Nessuno impone nulla, ma si tratta». Morales afferma che una delle questioni più delicate è quella dei diritti umani e della democrazia in Cuba che– secondo una fonte della delegazione statunitense– avrà un forte peso nei colloqui in corso.
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