Non è andata così, lo sappiamo bene, ma ancora non sappiamo perché previsioni tanto rosee si sono rivelate realtà tanto nere, alla prova dei fatti. Certo, le tensioni geopolitiche, la frenata tedesca e quella cinese, le sanzioni alla Russia, tutto quello che volete. Quel che è certo è che un fardello pesante, quello che ci portiamo dietro nel 2015. Un elenco di numeri che sono problemi da risolvere, cose da sistemare, che sarebbe il caso di appiccicare con un magnete al frigorifero. Noi ne abbiamo scelti dieci, molti dei quali abitano in territorio negativo. Con la speranza che – al contrario di quanto avvenuto quest’anno – nel 2015, i meno si tramutino in più e il nero in rosa.
-0,3% di calo del Pil
È il calo del Pil per il 2014, stando all’ultima previsione Istat. Previsione nondimeno lusinghiera, se si pensa che nei tre trimestri finora conteggiati il calo è stato rispettivamente dello 0,3% nei primi due e dello 0,5% nel terzo. Un calo che, grammatica economica alla mano, ci dichiara per la terza volta in sei anni in recessione tecnica. “Triple dip”, lo chiamano gli americani. Che però è una delle prime volte che trovano riscontro di un simile fenomeno nella realtà.
-2,3% negli investimenti
Se vi steste chiedendo cosa ha fatto cadere il Pil in quel modo, una risposta c’è. Anzi più di una: i consumi, ad esempio, che non sono ripartiti nonostante gli 80 euro. Soprattutto, però, tradire i sogni di ripresa per il 2014, sono stati gli investimenti, pubblici e privati, che sono diminuiti in un anno del 2,3%. Cifra alta, dite? Sentite qua: dall’inizio della crisi, gli investimenti sono diminuiti del 25%. Il professor Campiglio dell’Università Cattolica di Milano ha calcolato che[1] quegli investimenti perduti valgono circa 1 milione di posti di lavoro o, se preferite sei punti in meno nel tasso di disoccupazione.
-3% di produzione industriale
Riflesso immediato del calo degli investimenti è quello della produzione industriale, che nell’anno in corso – si tratta ancora di stime, ma più o meno ci siamo – è calata di tre punti percentuali[2], che diventano 28 circa se si comincia a contare dal 2007. Nelle stesse condizioni dell’Italia – ed è la Commissione Europea a dirlo – ci sono paesi come la Gran Bretagna, la Francia, la Svezia e la Finlandia, in cui il tasso di investimento è altrettanto basso. Il problema, semmai, è che per noi è inferiore e in diminuzione il livello di efficienza del capitale. Ciò avviene soprattutto – perché le cattive notizie non vengono mai da sole – in settori come quello automobilistico, o calzaturiero, o ancora quello degli elettrodomestici. In altre parole, nella pancia di quel made in Italy che dovrebbe rilanciarci.
13,2% di disoccupazione
Cala il Pil, calano gli investimenti, cala la produzione industriale, et voilà, ecco un tasso di disoccupazione da fare spavento. Anche solo prendendo in esame l’ultimo anno – o meglio, i dodici mesi che intercorrono tra ottobre 2013 e ottobre 2014 – la progressione è disarmante, con uno 0,9% in più di occupati persi, un terzo dei quali nell’ultimo mese. Non so quanto giovi all’umore ricordarlo, ma dal 2007 a oggi il tasso di disoccupazione, che allora era pari al 6,6%, è esattamente raddoppiato.
35,4%, il vero spread coi tedeschi
Potremmo dire anche 3540 punti base, se preferite. In ogni caso, è la differenza[3] tra il tasso di disoccupazione giovanile italiano (43,3%) e quello tedesco (7,9%). Peggio di noi solo Croazia, Spagna e Grecia, ma non di molto ormai. Se avete memoria, ci fu un tempo in cui il Partito Democratico chiedeva le dimissioni di Berlusconi perché la disoccupazione giovanile aveva superato il 25 per cento. Era il 2011, nemmeno quattro anni fa. Brutta cosa, il tempo che passa.
665mila italiani emigrati in Germania
Ogni spread ha i suoi effetti: se quello tra Btp e Bund, che quest’anno per nostra fortuna è rimasto basso, impatta sui tassi d’interesse e sull’entità complessiva del debito pubblico italiano, quello relativo alla disoccupazione ha effetti piuttosto concreti sui saldi migratori. Ad esempio, dal 2007 ad oggi, gli italiani che hanno fatto le valigie e sono andati a vivere in Germania sono aumentati del 24%, raggiungendo la ragguardevole cifra di 665mila unità[4]. È un dato, questo, che è stato presentato nel corso di quest’anno e che si riferisce al 2013, ma è comunque significativo nel delineare una tendenza e che fa il paio con il +53% del saldo migratorio verso Regno Unito. Lo è soprattutto, in entrambi i casi, perché proprio da Londra e Berlino, in questi mesi, è iniziato un giro di vite nei confronti degli espatriati con cittadinanza europea, invitati a tornare a casa se privi di lavoro. Una tendenza, questa, che rischia di essere destinata a crescere, più che a causa della recessione, in ragione dell’ascesa di partiti nazionalisti e di destra – l’Ukip di Farage su tutti – che mettono pressione sul quel fronte ai governi conservatori di Cameron e Merkel.
10mila studenti stranieri in meno
Purtroppo o per fortuna, noi i problemi che hanno a casa loro tedeschi e inglesi non ce li abbiamo. Dall’Italia, infatti, gli stranieri se ne vanno. Un dato su tutti: rispetto all’anno scolastico precedente, nel 2014/15 gli alunni di nazionalità non italiana iscritti alle scuole di primo e secondo livello (elementari e medie) sono diminuiti di oltre diecimila unità, passando da 635.194 a 624.867. Un dato, secondo La Repubblica[5], che si spiega col fatto che «la crisi economica che sta flagellando le aziende e le fabbriche delle regioni centro-settentrionali sta facendo fuggire gli stranieri alla ricerca di condizioni migliori di vita in altri Stati europei».
-0,1%, ecco la deflazione
Se non altro, il 2014 è stato un anno storico. Era dal 1959, cinquantacinque anni fa, che l’andamento dei prezzi in Italia non scendeva in territorio negativo. È successo ad agosto, avverando i foschi presagi di chi, da anni ormai, paventa il rischio di una deflazione millenaria, modello giapponese. Una deflazione che, giova ricordarlo, anche se fa male, avrebbe un impatto devastante sull’Italia, in quanto castrerebbe ogni speranza di crescita della domanda interna – nessuno compra se c’è l’aspettativa che i prezzi scenderanno -, e farebbe esplodere il nostro debito pubblico – se i prezzi scendono, il denaro costa di più. Mettete questi due ingredienti nel frullatore e otterrete un rapporto debito/Pil fuori controllo. Con tanti saluti a Bruxelles e Francoforte.
28 miliardi di surplus commerciale
L’unica buona notizia? Come ormai da qualche anno a questa parte, le esportazioni. Che nel 2014 sono andate ancora meglio che nel 2013. Almeno, questo dicono i dati[6] del periodo gennaio-settembre, gli unici disponibili sinora. Nei primi nove mesi dell’anno, la bilancia commerciale – che è il saldo della differenza tra export e import – ha infatti registrato un avanzo di 28,2 miliardi, 9,8 in più rispetto all’anno precedente. Non considerassimo l’energia l’avanzo salirebbe a 61,7 miliardi.
Una buona notizia (su dieci) da cui ripartire
Se l’economia italiana del 2015 fosse una casa, questa capacità di vendere all’estero sarebbe la prima pietra. Siamo realisti: i venti di crisi che arrivano da Russia e Cina potrebbero spazzare via pure quella. Teniamoci tuttavia stretta la speranza che nel 2015 l’export cresca ancora, creando un po’ di indotto, che come una piccola locomotiva a vapore, tiri dietro a sé, la produzione e gli investimenti e la domanda interna e magari pure il Pil. Anche nelle migliore delle ipotesi, non sarà che un piccolo rimbalzo. Ma anche se non è rosa, un futuro grigio scuro è sempre meglio di presente nero.