Il detenuto che chiede e ottiene l’eutanasia «In cella soffro troppo». In 15 lo seguono

by redazione | 4 Gennaio 2015 18:06

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BRUXELLES Ogni notte, i detenuti dalle celle vicine gli gridano o sussurrano nel buio: «Frank, ammazzati! Ammazzati!». Certi, ha rivelato qualche guardiano, prendono un doppio caffè pur di dare il turno agli altri e non lasciare che per quell’uomo trascorra un solo minuto di pace. Così accade da sempre in molte prigioni del mondo, a chi ha compiuto certi atti. Ma lui, Frank Van Den Bleeken, 52 anni e da 30 in galera, detenuto belga condannato per omicidio e stupri seriali, assassino e torturatore di una diciannovenne la cui madre morì più tardi di crepacuore, lui non si è mai ammazzato e la morte l’ha chiesta allo Stato: anzi, la «dolce morte», l’eutanasia, per sfuggire alle «insopportabili sofferenze psicologiche» che afferma di provare.
Un anno fa, Frank si è accordato con i giudici. E così, venerdì prossimo, sarà trasferito in un ospedale segreto dove potrà stare in pace con i suoi familiari per due giorni. Poi, domenica 11 gennaio, arriverà anche un sacerdote. E infine un medico statale, con un’iniezione pagata dallo Stato, cancellerà la condanna all’ergastolo che quello stesso Stato ha comminato un giorno a quest’uomo. «È una grazia, un premio, una liberazione che risparmierà la pena intera a chi l’ha meritata — dicono indignati alle tv i familiari delle vittime —. Lui chiede una morte con dignità, quella che non ha concesso ad altri. Ma non esiste anche la libertà di suicidarsi? E poi, lui stesso dice che ha sempre quelle fantasie atroci, che se tornasse libero rifarebbe tutto…». Le sorelle di Christiane Remacle, la diciannovenne seviziata e strangolata con le sue calze nel 1989, nei boschi vicini ad Anversa, si sono opposte fino all’ultimo alla «grazia»: «Lui deve marcire in galera e basta. Per sempre». Non è così, rispondono altri — giuristi, politici e sacerdoti — questo sarà un atto di giustizia e di pietà civile, gli psichiatri hanno certificato i disturbi di Frank e in fondo l’ergastolo non è che una morte legalizzata, una scelta che non ricompensa le vittime e non migliora o recupera i colpevoli.
Ma il vero problema, da domenica in poi, andrà ben oltre la sorte individuale di Frank e già fa tremare i polsi a molti. Sarà un enigma giuridico, etico, sociale, politico, religioso, con 5 risvolti diversi e ugualmente angoscianti.
Primo: altri 15 detenuti in varie prigioni hanno già chiesto la «dolce morte» come Frank, adducendo malattie fisiche o gravi depressioni e nessuno sa che risposta darà loro lo Stato. Secondo: in Belgio, dal 2002, il codice consente sì la stessa eutanasia ora in continuo aumento (oltre 1800 casi nel 2013) ma solo a pazienti terminali, ciò che Frank non è, oppure a persone in preda a «insopportabili sofferenze fisiche o psicologiche» (dal febbraio 2014, primo caso nel mondo, la norma vale anche su bambini e ragazzi senza limiti d’età, purché vi sia il consenso dei genitori).
Terzo: lo stesso codice, invece, non prevede la pena di morte per nessun reato. Quarto: la Costituzione belga sancisce che «tous les belges sont ègaux devant la loi», tutti i belgi sono uguali davanti alla legge, proprio come garantito ai cittadini di tutti i Paesi d’Europa. In questo caso l’obiezione sarebbe: perché solo questa condanna, seppure definitiva, può essere modificata?
Quinto e ultimo punto, il Belgio è anche il Paese dove vive un altro ergastolano, Marc Dutroux, il pedofilo e assassino seriale che faceva morire le sue giovanissime prede anche di fame e che potrebbe tornare in libertà condizionata fra un anno o poco più. Alcuni genitori delle vittime attendono da anni quest’uomo alla porta del carcere, certo non per abbracciarlo e oggi promettono a Dutroux che una «dolce morte» non l’avrà mai, se anche dovesse chiederla e se anche lo Stato dovesse concedergliela come ha fatto con Frank.
Quanto a lui, il «graziato», si è appena confidato con una televisione: «Sono un pericolo per la società, lo so. Ma sono anche un essere umano, e qualunque cosa abbia fatto resto un essere umano. Perciò sì, concedetemi l’eutanasia».
Luigi Offeddu
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