Così l’America ha perso la sua guerra più lunga

Loading

«Cir­cola la voce che un gruppo di atten­ta­tori sui­cidi sia pronto a entrare in città. Ci aspet­tiamo il ‘gran botto’ da un momento all’altro. Niente di nuovo: solo per avver­tirti della situa­zione in città». Con que­ste parole Abdul Qadeer Wafa mi acco­glie a Lash­kar­gah, capo­luogo dell’Helmand, nel pro­fondo sud dell’Afghanistan. In que­sta pro­vin­cia ster­mi­nata al con­fine con l’Iran, 2 milioni di abi­tanti per 60 mila chi­lo­me­tri qua­drati, i com­bat­ti­menti pro­se­guono inin­ter­rotti, da anni. I Tale­bani non hanno mai smesso di pic­chiare duro, di con­qui­stare ter­reno, di instal­lare governi “ombra”, di attac­care le posta­zioni gover­na­tive e i sol­dati stra­nieri. «Le truppe stra­niere ci hanno pro­vato a lungo, ma il risul­tato è evi­dente: i Tale­bani sono ancora qui, gli stra­nieri se ne sono andati», sin­te­tizza Wafa, che lavora per una orga­niz­za­zione inter­na­zio­nale e col­tiva la pas­sione per il giornalismo.

Il 28 dicem­bre si è con­clusa la mis­sione di com­bat­ti­mento Isaf della Nato. A Kabul si è svolta una ceri­mo­nia uffi­ciale con cui è stata inau­gu­rata la nuova mis­sione, «Reso­lute Sup­port», che pre­vede il soste­gno e l’addestramento delle forze di sicu­rezza afghane: 13 mila sol­dati stra­nieri (a cui vanno aggiunti i con­trac­tor pri­vati, le forze spe­ciali e gli uomini della Cia) per sup­por­tare i 350 mila mem­bri delle forze di sicu­rezza locali. Il gene­rale John Cam­p­bell, a capo della nuova mis­sione, ha usato parole solenni: «Abbiamo con­dotto il popolo afghano fuori dal buio della dispe­ra­zione, dando loro la spe­ranza per il futuro». Ma Abdul Qadeer Wafa non ha grandi spe­ranze: «Non vedo nes­sun segnale inco­rag­giante. Al con­tra­rio, sono molto pre­oc­cu­pato». Nel discorso con cui ha cele­brato «la fine respon­sa­bile» della guerra più lunga degli Stati Uniti, per­fino Barack Obama ha ammesso che il paese cen­troa­sia­tico non è stato paci­fi­cato: «L’Afghanistan rimane un luogo peri­co­loso», ha affer­mato a ridosso della ceri­mo­nia del 28 dicembre.

Qui a Lash­kar­gah il peri­colo assume forme diverse. «La sicu­rezza intesa come inco­lu­mità fisica è il primo dei nostri pro­blemi, ma ce ne sono molti altri», sostiene Abdul Rafar Esha­q­zai, che dirige l’associazione Società civile dell’Helmand. «Abbiamo 1.200 mem­bri, cono­sciamo bene la realtà di que­sta pro­vin­cia», spiega Esha­q­zai. «I pro­blemi sono aumen­tati, anzi­ché dimi­nuire: man­cano le scuole, gli ospe­dali, le moschee, il lavoro. Soprat­tutto, manca la giu­sti­zia. La legge non c’è. I poveri fini­scono in pri­gione. I cri­mi­nali sono al potere».

Mafia poli­tica ed economica

Anche per Rohul­lah Elham, gio­vane gior­na­li­sta e rap­pre­sen­tante regio­nale del Civil Society and Human Rights Net­work, «il pro­blema non sono sol­tanto i Tale­bani, ma l’intreccio tra cri­mi­na­lità comune, Tale­bani, fun­zio­nari gover­na­tivi, mafia poli­tica ed eco­no­mica, omertà e cul­tura dell’impunità». Giacca vio­letta, occhi cele­sti e, sul bavero della giacca, una spilla con­tro la discri­mi­na­zione delle donne, Elham fa suo un pen­siero molto dif­fuso in Afgha­ni­stan: «Ci sono due cate­go­rie di Tale­bani. Quelli che si ribel­lano al governo, alla cor­ru­zione, all’ingiustizia, e quelli finan­ziati dall’esterno. I Tale­bani locali si scon­fig­gono con il buon governo, con la tra­spa­renza, con un’amministrazione che risponda ai biso­gni dei cit­ta­dini. Spe­riamo che il nuovo governo dia prova di essere al ser­vi­zio di tutti gli afghani». L’allusione è al governo di unità nazio­nale che si è inse­diato il 29 set­tem­bre, dopo una lunga con­tesa sugli esiti elet­to­rali del bal­lot­tag­gio del 14 giu­gno tra Ash­raf Ghani, ora pre­si­dente, e Abdul­lah Abdul­lah, ora «chief of exe­cu­tive offi­cer», qual­cosa come un primo mini­stro.
Dopo i tre­dici anni di governo-Karzai con­tras­se­gnati da cor­ru­zione, nepo­ti­smo, sfi­du­cia nelle isti­tu­zioni, le aspet­ta­tive sul nuovo governo erano alte. Ma sem­brano già archi­viate. «Aspet­tiamo la for­ma­zione del governo e le nomine dei mini­stri da ben tre mesi», lamenta uno dei mem­bri della Società civile dell’Helmand, l’ingegnere Shah Mah­moud. «Abbiamo votato per una sola per­sona, ora ci tro­viamo con tutte e due i can­di­dati al governo. Le sem­bra nor­male?», chiede reto­ri­ca­mente Shah Mah­moud, che iro­nizza sul governo “bice­falo”: «Qui in Afgha­ni­stan da tempo esi­stono i doppi governi. Quello uffi­ciale, gover­na­tivo, e quello paral­lelo, dei Tale­bani, che hanno i pro­pri gover­na­tori “ombra” nelle aree da loro con­trol­late. Ora la for­mula è stata uffi­cia­liz­zata!», aggiunge divertito.

Molto meno diver­tito appare Ahmad Mas­sod Baq­ta­war, vice-governatore della pro­vin­cia (nel frat­tempo sosti­tuito, ndr). La fronte alta, un vestito bianco appena sti­rato, Baq­ta­war mi acco­glie nel suo ele­gante uffi­cio. Alle spalle della scri­va­nia cam­peg­giano la foto del pre­si­dente Ghani e un’ampia mappa dell’Helmand: «Que­sta è la pro­vin­cia più estesa del paese, col­lo­cata in una posi­zione stra­te­gica. È ovvio che i Tale­bani abbiano pun­tato l’attenzione pro­prio qui», ammette pre­oc­cu­pato, men­tre mi mostra le rotte di pas­sag­gio degli insorti, dal sud-est verso il nord della pro­vin­cia e del resto del paese. «È vero, ci sono anche alcuni Tale­bani locali, ma la mag­gior parte sono stra­nieri. Nell’Helmand è in corso una guerra per pro­cura, voluta e ali­men­tata dai ser­vizi segreti stra­nieri. I Tale­bani che ope­rano in quest’area pro­ven­gono dal Paki­stan, dall’Iran, dall’Uzbekistan, dalla Cece­nia. È una guerra regio­nale e inter­na­zio­nale. Per que­sto abbiamo ancora biso­gno del soste­gno eco­no­mico e di equi­pag­gia­mento della comu­nità inter­na­zio­nale», sostiene il vice-governatore. Per il quale serve una dop­pia stra­te­gia: «Ai Tale­bani locali chie­diamo di unirsi al governo, di abban­do­nare le armi. Ai secondi non faremo sconti. Le nostre forze di sicu­rezza sono in grado di sconfiggerli».

Un inci­dente come gli altri?

«Certo che siamo pronti, al 100 per cento», riba­di­sce Haji Wasi Samini, gene­rale di bri­gata, il numero due del corpo della Poli­zia dell’intera pro­vin­cia. Per dimo­strarlo, snoc­ciola dati, i più recenti: «In 15 giorni i miei uomini hanno tro­vato e disin­ne­scato 129 bombe, ucciso 32 ter­ro­ri­sti, arre­stato 19 sospetti, seque­strato 50 kg di droga, 2 vei­coli e 7 moto­ci­clette e con­dotto molte ope­ra­zioni di suc­cesso». Quando gli chiedo di Camp Bastion, il gene­rale si irri­gi­di­sce. Sol­tanto un mese dopo essere pas­sata dalle mani dei sol­dati inglesi in quelle afghane, la base mili­tare è finita per 48 ore sotto il tiro dei Tale­bani. «Un inci­dente tra gli altri, nulla di signi­fi­ca­tivo», ribatte Samini. «Altro che inci­dente, è un segnale gra­vis­simo», replica indi­ret­ta­mente Zai­nul­lah Sta­ne­q­zai, a capo dell’associazione dei gior­na­li­sti dell’Helmand, cor­ri­spon­dente per l’agenzia Paj­h­wok. «Inu­tile negarlo, le cose non sono andate come ci aspet­ta­vamo. Quando sono arri­vati gli stra­nieri, era­vamo pieni di aspet­ta­tive. Ora se ne vanno, dopo aver speso un muc­chio di soldi, ma di bene­fici dura­turi non ne vediamo. L’economia è fra­gile, il rap­porto tra il governo e la popo­la­zione è fon­dato sul sospetto, sulla man­canza di fidu­cia». Soprat­tutto, aggiunge Sta­ne­q­zai, «i Tale­bani sono forti, qui nell’Helmand come in molte altre pro­vince del paese. Con­ti­nuano a com­bat­tere, con la stessa deter­mi­na­zione di prima. Chiun­que sia one­sto non può che ammet­terlo: gli stra­nieri sono venuti qui per scon­fig­gere i Tale­bani. Ma hanno perso».



Related Articles

Gaza, strage di bambini otto morti al parco giochi nel giorno della festa Razzi su Israele, 4 vittime

Loading

Hamas e lo Stato ebraico si scambiamo accuse per la strage Raid nella Striscia. Netanyahu: “Sarà una lunga guerra”

Robert Fisk: Was he betrayed? Of course. Pakistan knew Bin Laden’s hiding place all along

Loading

Hillary Clinton, President Barack Obama and Vice President Joe Biden, along with with members of the national security team, receive an update on the mission in the Situation Room   AP  Hillary Clinton, President Barack Obama and Vice President Joe Biden, along with with members of the national security team, receive an update on the mission in the Situation Room

A middle-aged nonentity, a political failure outstripped by history – by the millions of Arabs demanding freedom and democracy in the Middle East – died in Pakistan yesterday. And then the world went mad.

Le alternative alla proibizione globale

Loading

la ridu­zione del danno deve diven­tare una moda­lità com­ples­siva di governo della que­stione droga, ivi com­preso l’aspetto di ridu­zione del danno della proibizione

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment