Un colpo alla nuca delle due «spie» L’Isis e il video del boia-bambino
by redazione | 14 Gennaio 2015 16:22
È facile uccidere due uomini inginocchiati a terra con le mani legate dietro la schiena, se si possiede una pistola. È facile, semplicissimo anche per un bambino di più o meno dieci anni felice e fiero di sentirsi «eroe» incoraggiato dagli adulti, che lui venera e rispetta. Basta puntare l’arma alla nuca, premere il grilletto a pochi centimetri dalle vittime, una dopo l’altra, e con soddisfazione vederle rotolare a terra agonizzanti. Missione compiuta, anche i due colpi sparati contro ognuno per finirli arrivano quasi naturali. «Abbiamo eliminato due spie», dicono i combattenti del «Califfato». E il «cucciolo del leone», l’esecutore-bambino che sino ad allora era rimasto serio e impassibile tutto preso dalla sua missione di «vendicatore di Allah», finalmente sorride brandendo la pistola, la rotea in aria, con il suo mentore-terrorista che gli fa i complimenti.
È la scena cruciale del nuovo filmato della durata di 8 minuti diffuso ieri dalla macchina sempre più oliata della propaganda dello Stato Islamico (Isis). Un nuovo salto di qualità all’incontrario nel tunnel degli orrori trionfanti tra le regioni di Siria e Iraq controllate dai guerriglieri jihadisti. Non è la prima volta che utilizzano bambini per le loro operazioni. Sono stati lanciati come attentatori suicidi, molti di loro inconsapevoli, con l’esplosivo a innesco telecomandato legato attorno alla vita. Sono scene che ricordano le violenze senza legge imperanti in Africa. I bambini-soldati hanno una ricca e antica storia dal Sudan, al Mali, all’Uganda, sino all’Algeria degli anni Novanta. I salafiti di Boko Haram negli ultimi giorni hanno fatto ricorso a bambine suicide per le stragi di civili in Nigeria. Ma il video di Isis che arriva dalla Siria è più articolato della semplice esecuzione. Si apre con le confessioni di due uomini. Con i loro carcerieri, probabilmente ceceni, parlano in russo. Sullo schermo passano le didascalie con le traduzioni in inglese e arabo. Il messaggio è globale. I due vengono interrogati separatamente sulle loro generalità. Il primo dice di chiamarsi Mamayev Jambulat, nato nel 1976, originario del Kazakistan. L’altro è Ashimov Sergey, nato nel 1984. Entrambi ammettono di essere agenti del servizio segreto russo, lo Fsb. Venuti in «missione» per «spiare e fornire il massimo delle informazioni a Mosca». Addirittura parlano di avere come obbiettivo l’uccisione del capo supremo di Isis, il «Califfo» al Baghdadi.
Ma la parte più drammatica arriva nella seconda metà del video. C’è un ragazzino, capelli lunghi, lineamenti asiatici, indossa un dolce vita nero stile commando. Accanto a lui un gigantesco guerrigliero dalla barba rossa, la bandana in testa e l’uniforme pulita. Sembra ancora più possente vicino alla corporatura minuta del ragazzino. Colpisce il piglio serio e concentrato del baby killer. Ha le labbra serrate, un grosso orologio in plastica al polso. Stringe la pistola con la canna puntata a terra mentre il guerrigliero giustifica l’esecuzione delle «spie» e invoca la «giustizia di Allah». Pochi secondi, l’uomo dà un buffetto di incoraggiamento al bambino. Lui è pronto. Avanza un paio di passi verso i due uomini inginocchiati. Hanno i capelli rasati. Gli occhi semichiusi. Attendono. Non ci sono esitazioni, nessun passo falso. Il bambino spara alla nuca di uno e dell’altro. Non sobbalza, non perde la postura, ovvio che è stato ben addestrato. Non si vede sangue. L’obbiettivo non indugia sui moribondi. Ma l’esecuzione appare reale. I due cadono in avanti sulla sabbia. E’ finita. L’ultima scena è ripresa da un filmato diffuso da Isis in novembre, dove lo stesso ragazzino appariva allegro assieme ad altri giovanissimi volontari della guerra santa sunnita. Era vestito da soldato, con la bandana beige sui capelli neri. «Sarò tra gli esecutori che taglieranno la testa ai kafiri», esclama utilizzando il termine islamico che indica i miscredenti.
Lorenzo Cremonesi