Camerun, Boko Haram rapisce 50 bimbi
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Questa volta hanno trovato i soldati a sbarrargli la strada. Ma dopo due ore di scontro a fuoco i miliziani islamici di Boko Haram hanno avuto campo libero e hanno ridotto il villaggio di Mabass, nel Camerun, al confine con la Nigeria, a un cumulo di macerie con case saccheggiate e bruciate, molti abitanti brutalmente sequestrati.
Un’ottantina di persone sarebbero state rapite, per lo più donne e bambini. Piccoli magari da indottrinare e arruolare per farsi saltare in aria, kamikaze spesso inconsapevoli, come accaduto appena una settimana fa prima nel mercato della città nigeriana di Maiduguri, nello Stato nordorientale del Borno e poi ancora tra le bancarelle di telefonini di Potiskum, nel vicino Stato di Yobe. La stessa cittadina funestata ieri da un altro attentato che ha fatto quattro morti.
Se l’orrore in Nigeria è diventato drammaticamente ordinario (il presidente Jonathan non ha sprecato nemmeno una parola dopo il massacro nella cittadina di Baga, sul lago Ciad: a distanza di quasi due settimane il bilancio dei morti — stimato tra poche centinaia e duemila — resta ancora affidato a resoconti non ufficiali e a immagini satellitari), in Camerun la reazione è stata immediata, non solo dal punto di vista militare: «E’ il più grande sequestro di persone mai effettuato nel Paese» ha denunciato il ministro dell’Informazione camerunese, Issa Tchiroma Bakary, confermando che 50 dei rapiti sono bambini.
Se c’era bisogno di un attacco in grande stile per accreditare i Boko Haram come minaccia regionale, è arrivato. E il momento non è casuale: proprio ieri sono iniziate ad arrivare in Camerun le truppe inviate dal vicino Ciad per far fronte all’offensiva del gruppo fondamentalista. Iniziativa resa pubblica dallo stesso presidente camerunense Paul Biya che nei giorni scorsi aveva annunciato l’arrivo di un «importante contingente» dal Ciad a sostegno dell’esercito del Camerun contro l’offensiva islamista.
Lo stesso Biya qualche giorno prima era stato minacciato dal capo di Boko Haram, Aboubakar Shekau, in un lungo messaggio video diffuso su YouTube. Le alleanze fanno paura ai miliziani integralisti che puntano a creare nell’area intorno al lago Ciad, tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, un califfato simile a quello dell’Isis in Iraq. Finora i tentativi di dar vita a una risposta congiunta sono naufragati. Non ce l’ha fatta neppure il presidente francese Hollande che lo scorso aprile aveva convocato un summit anti Boko Haram per richiamare i leader della regione alle loro responsabilità e mettere a punto «una risposta globale» che non è mai decollata. Mentre alla marcia di Parigi dopo la strage di Charlie , Jonathan ha brillato per assenza, preso com’è dalla sua campagna per le presidenziali (con #BringBackGoodluck2015 ha avuto la faccia tosta di parafrasare l’hashtag delle ragazze rapite senza portarle a casa).
In settimana il progetto di una forza multinazionale è atteso sul tavolo dell’Unione Africana. Ma i tempi non saranno brevi. Intanto un po’ di pressione internazionale per smuovere le autorità nigeriane potrebbe aiutare.
Alessandra Muglia
Se l’orrore in Nigeria è diventato drammaticamente ordinario (il presidente Jonathan non ha sprecato nemmeno una parola dopo il massacro nella cittadina di Baga, sul lago Ciad: a distanza di quasi due settimane il bilancio dei morti — stimato tra poche centinaia e duemila — resta ancora affidato a resoconti non ufficiali e a immagini satellitari), in Camerun la reazione è stata immediata, non solo dal punto di vista militare: «E’ il più grande sequestro di persone mai effettuato nel Paese» ha denunciato il ministro dell’Informazione camerunese, Issa Tchiroma Bakary, confermando che 50 dei rapiti sono bambini.
Se c’era bisogno di un attacco in grande stile per accreditare i Boko Haram come minaccia regionale, è arrivato. E il momento non è casuale: proprio ieri sono iniziate ad arrivare in Camerun le truppe inviate dal vicino Ciad per far fronte all’offensiva del gruppo fondamentalista. Iniziativa resa pubblica dallo stesso presidente camerunense Paul Biya che nei giorni scorsi aveva annunciato l’arrivo di un «importante contingente» dal Ciad a sostegno dell’esercito del Camerun contro l’offensiva islamista.
Lo stesso Biya qualche giorno prima era stato minacciato dal capo di Boko Haram, Aboubakar Shekau, in un lungo messaggio video diffuso su YouTube. Le alleanze fanno paura ai miliziani integralisti che puntano a creare nell’area intorno al lago Ciad, tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, un califfato simile a quello dell’Isis in Iraq. Finora i tentativi di dar vita a una risposta congiunta sono naufragati. Non ce l’ha fatta neppure il presidente francese Hollande che lo scorso aprile aveva convocato un summit anti Boko Haram per richiamare i leader della regione alle loro responsabilità e mettere a punto «una risposta globale» che non è mai decollata. Mentre alla marcia di Parigi dopo la strage di Charlie , Jonathan ha brillato per assenza, preso com’è dalla sua campagna per le presidenziali (con #BringBackGoodluck2015 ha avuto la faccia tosta di parafrasare l’hashtag delle ragazze rapite senza portarle a casa).
In settimana il progetto di una forza multinazionale è atteso sul tavolo dell’Unione Africana. Ma i tempi non saranno brevi. Intanto un po’ di pressione internazionale per smuovere le autorità nigeriane potrebbe aiutare.
Alessandra Muglia
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