Il blitz al supermercato L’invocazione al martirio, poi la fine
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PARIGI Quattro esplosioni ravvicinate, un quinto boato dopo poco meno di 30 secondi: alle 17 e 05 è chiaro, anche a 400 metri di distanza, che l’assalto delle forze speciali di polizia all’Hyper Cacher, il supermercato specializzato in prodotti kosher (conformi alle leggi alimentari ebraiche), è stato lanciato. Pochissimi minuti dopo quello di Dammartin, contro i fratelli Kouachi.
Sono passate quattro ore esatte dal momento in cui Amedy Coulibaly, detto «Doly», 32 anni, solo o in compagnia della sua misteriosa fidanzata Hayat Boumeddiene, 26 anni, ha fatto irruzione sparando con due kalashnikov nel negozio, e uccidendo quattro clienti. Della ragazza non si troverà traccia, né viva né morta, dopo l’attacco della polizia, che uccide Amedy e ferisce involontariamente quattro ostaggi. Improbabile, ma non impossibile che Hayat sia riuscita a fuggire nella confusione, mescolandosi ai clienti liberati. Forse, più semplicemente, non ha partecipato all’ultima, sanguinosa impresa del compagno. Per lei, la caccia è aperta.
Pochi minuti dopo le 13, corso de Vincennes, tra piazza de la Nation e la circonvallazione di Parigi, è una giostra di auto della polizia, ambulanze, mezzi della protezione civile.
Le facce di Hayat e di Amedy sono appiccicate sul cruscotto delle macchine degli agenti. Sono ricercati per l’omicidio di una giovane agente municipale, Clarissa Jean-Philippe, 25 anni, il giorno prima, a Montrouge, periferia sud della città. Ma soprattutto Amedy è considerato il terzo complice dei fratelli Kouachi nel massacro della redazione di Charlie Hebdo, la mattina del 7 gennaio: «Eravamo sincronizzati — conferma lui stesso nelle sue ultime ore di delirio omicida in una telefonata all’emittente Bfmtv —. Loro Charlie Hebdo, io i poliziotti».
Pare che sia stato proprio il telefono a dettare ieri il momento dell’assalto della polizia e della sua fine: Amedy aveva riattaccato male la cornetta, gli investigatori che avevano intercettato la linea hanno sentito che il terrorista iniziava alle 17 la sua preghiera, forse l’ultima, quella che doveva precedere il suo «martirio» con tutti i suoi ostaggi. In quel momento è stato dato l’ordine di intervenire. Immagini amatoriali girate da uno dei palazzi vicini, e trasmesse da France 2 , mostrano Amedy che, alle prime esplosioni, si precipita dal fondo del negozio verso i poliziotti e viene crivellato da una sessantina di colpi. Nel negozio verrà ritrovato uno zaino pieno di esplosivo che però l’uomo non ha utilizzato.
Le teste di cuoio, mascherate, erano arrivate su quattro auto mezz’ora prima, seguite da decine di Crs, i militari antisommossa, che sono stati applauditi dalla piccola folla assembrata dietro alle transenne disposte a distanza di sicurezza.
Contro quelle transenne si sono appoggiati per ore, assieme ai giornalisti, gli abitanti del quartiere, storditi, increduli o arrabbiati, come Rudy Stibon, 33 anni, la kippa ben in evidenza sulla testa: «Mia sorella era in quel supermercato fino a un quarto d’ora prima — racconta — stava facendo le ultime compere per preparare lo Shabbat, che inizia al tramonto. C’era molta gente assieme a lei. Ha salutato la cassiera, che conosciamo bene. È passata dalla pasticceria kosher a fianco, poi è rientrata nel momento in cui cominciavano già a sfrecciare le sirene. Adesso si è chiusa in casa, sotto choc. Ma io le ho detto che non si risponde al terrore con la paura». Però, ammette, non vede l’ora di andarsene in Israele.
Un’altra donna del quartiere, ad alta densità di popolazione ebraica, supera il cordone di sicurezza per allontanarsi dal supermercato dove, anche lei, aveva appena fatto compere: «Abbiamo sentito una detonazione. Abbiamo pensato allo scontro fra due auto, poi si sono sentite delle urla, e altri rumori incomprensibili. Ho pensato solamente a correre e a nascondermi».
Marilyne Bararanes, anche lei residente in zona, è stata evacuata dalla zona pericolosa. «La polizia è schierata a cento metri dal supermercato — descrive la scena poco lontano —. C’è un silenzio assoluto, angosciante, in quel tratto di deserto. Sono in contatto telefonico con i miei figli, chiusi in casa. Occorrerà poi l’intervento degli psicologi per appoggiare non solo le vittime, ma anche i testimoni di quanto sta accadendo. Lo so, perché anch’io lavoro nell’assistenza a persone traumatizzate».
Fatah, invece, aveva appuntamento con la cugina che ha un negozio da parrucchiera proprio vicino all’Hyper Cacher in cui è ancora asserragliato Amedy. Con quel che era già accaduto a Parigi negli ultimi giorni, sua cugina non è certo stata a chiedersi se fossero petardi o se stessero girando un film: «Appena ha sentito i colpi — racconta Fatah — ha tirato giù la saracinesca ed è fuggita con le sue clienti».
Elisabetta Rosaspina
Pochi minuti dopo le 13, corso de Vincennes, tra piazza de la Nation e la circonvallazione di Parigi, è una giostra di auto della polizia, ambulanze, mezzi della protezione civile.
Le facce di Hayat e di Amedy sono appiccicate sul cruscotto delle macchine degli agenti. Sono ricercati per l’omicidio di una giovane agente municipale, Clarissa Jean-Philippe, 25 anni, il giorno prima, a Montrouge, periferia sud della città. Ma soprattutto Amedy è considerato il terzo complice dei fratelli Kouachi nel massacro della redazione di Charlie Hebdo, la mattina del 7 gennaio: «Eravamo sincronizzati — conferma lui stesso nelle sue ultime ore di delirio omicida in una telefonata all’emittente Bfmtv —. Loro Charlie Hebdo, io i poliziotti».
Pare che sia stato proprio il telefono a dettare ieri il momento dell’assalto della polizia e della sua fine: Amedy aveva riattaccato male la cornetta, gli investigatori che avevano intercettato la linea hanno sentito che il terrorista iniziava alle 17 la sua preghiera, forse l’ultima, quella che doveva precedere il suo «martirio» con tutti i suoi ostaggi. In quel momento è stato dato l’ordine di intervenire. Immagini amatoriali girate da uno dei palazzi vicini, e trasmesse da France 2 , mostrano Amedy che, alle prime esplosioni, si precipita dal fondo del negozio verso i poliziotti e viene crivellato da una sessantina di colpi. Nel negozio verrà ritrovato uno zaino pieno di esplosivo che però l’uomo non ha utilizzato.
Le teste di cuoio, mascherate, erano arrivate su quattro auto mezz’ora prima, seguite da decine di Crs, i militari antisommossa, che sono stati applauditi dalla piccola folla assembrata dietro alle transenne disposte a distanza di sicurezza.
Contro quelle transenne si sono appoggiati per ore, assieme ai giornalisti, gli abitanti del quartiere, storditi, increduli o arrabbiati, come Rudy Stibon, 33 anni, la kippa ben in evidenza sulla testa: «Mia sorella era in quel supermercato fino a un quarto d’ora prima — racconta — stava facendo le ultime compere per preparare lo Shabbat, che inizia al tramonto. C’era molta gente assieme a lei. Ha salutato la cassiera, che conosciamo bene. È passata dalla pasticceria kosher a fianco, poi è rientrata nel momento in cui cominciavano già a sfrecciare le sirene. Adesso si è chiusa in casa, sotto choc. Ma io le ho detto che non si risponde al terrore con la paura». Però, ammette, non vede l’ora di andarsene in Israele.
Un’altra donna del quartiere, ad alta densità di popolazione ebraica, supera il cordone di sicurezza per allontanarsi dal supermercato dove, anche lei, aveva appena fatto compere: «Abbiamo sentito una detonazione. Abbiamo pensato allo scontro fra due auto, poi si sono sentite delle urla, e altri rumori incomprensibili. Ho pensato solamente a correre e a nascondermi».
Marilyne Bararanes, anche lei residente in zona, è stata evacuata dalla zona pericolosa. «La polizia è schierata a cento metri dal supermercato — descrive la scena poco lontano —. C’è un silenzio assoluto, angosciante, in quel tratto di deserto. Sono in contatto telefonico con i miei figli, chiusi in casa. Occorrerà poi l’intervento degli psicologi per appoggiare non solo le vittime, ma anche i testimoni di quanto sta accadendo. Lo so, perché anch’io lavoro nell’assistenza a persone traumatizzate».
Fatah, invece, aveva appuntamento con la cugina che ha un negozio da parrucchiera proprio vicino all’Hyper Cacher in cui è ancora asserragliato Amedy. Con quel che era già accaduto a Parigi negli ultimi giorni, sua cugina non è certo stata a chiedersi se fossero petardi o se stessero girando un film: «Appena ha sentito i colpi — racconta Fatah — ha tirato giù la saracinesca ed è fuggita con le sue clienti».
Elisabetta Rosaspina
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