Non può essere un caso se nessuno in Italia ne aveva mai parlato prima. Da “Occupy Wall Street” al Tea Party negli Stati Uniti, alla stessa Occupy a Londra, fino agli “Indignados” in Spagna, i movimenti di protesta di questi anni insegnano che il ricorso al denaro pubblico per rafforzare le banche è un atto politicamente tossico. Espone all’accusa di usare le risorse di chi non ha per favorire chi ha molto: i banchieri. Questo timore, sempre implicito, accompagna da anni la progressione dei crediti problematici nel nostro Paese. Secondo Banca d’Italia, il totale delle sofferenze del sistema bancario era di 45 miliardi di euro nel 2006, di 48 a metà del 2007, di 54 nel settembre 2009, 108 alla fine del 2011 e 181 miliardi alla fine del 2014. I crediti deteriorati, inclusi quelli a imprese o famiglie in difficoltà ma ancora non insolventi, superano i 330 miliardi. Ogni cento euro prestati dalle banche italiane ai propri clienti privati, ben 18 rischiano di non essere restituiti se non in ritardo e in parte. E l’arrivo dei bilanci 2014 delle banche fra due settimane non farà che accentuare questa tendenza: la nuova vigilanza della Bce sta pressando i manager del credito ad accelerare la “pulizia” dei conti.
È possibile che i regolatori dell’Eurotower stiano forzando la mano, spinti dalla sfiducia verso l’Italia che respirano a Francoforte. È sicuro però che una montagna simile di credito in odore di insolvenza è incompatibile con la ripresa in cui ora il Paese può finalmente sperare. Finché le sofferenze varranno da sole più di tutti i titoli italiani che la Bce si prepara a comprare, la prima preoccupazione delle banche non sarà dare nuovo credito a chi investe per creare posti di lavoro. Sarà difendersi di fronte alle richieste dei regolatori di rafforzare sempre di più il patrimonio. È per questo che aumenti di capitale da 15 miliardi di euro compiuti dagli istituti nell’ultimo anno sono coincisi con una continua erosione del credito: 60 miliardi in meno nell’ultimo biennio. Poiché due terzi dei prestiti alle imprese in Italia vengono ancora dalle banche, non ci sarà vera ripresa fino a quando i vasi sanguigni dell’economia resteranno ostruiti come sono oggi.
Quella a cui pensa Padoan è dunque una grande operazione chirurgica di rimozione degli ostacoli. È inevitabile quanto politicamente pericolosa. L’Irlanda l’ha affrontata nel 2011, quando costituì una bad bank finanziata dai fondi degli aiuti europei per acquistare le sofferenze dalle banche e gestirle. La Spagna ha fatto qualcosa di simile nel 2012, anch’essa con 40 miliardi di fondi prestati dal resto d’Europa (Italia inclusa). Per il governo di Matteo Renzi però le strade potenzialmente aperte sono diverse da quelle di Dublino e Madrid, e non solo perché qui non è prevista la richiesta di un prestito europeo e l’arrivo della Troika. Le vie aperte sembrano tre. La prima è quella sulla quale il governo di Enrico Letta aveva esitato a lungo, prima di dimettersi: viene creata una società-veicolo che emette titoli di debito sul mercato, coperti da una garanzia pubblica a favore di chi investe in essi. Con i fondi raccolti, la società-veicolo acquisterebbe i crediti deteriorati delle banche a prezzi scontati e li gestirebbe sperando alla fine di ottenere un profitto. In caso di perdite, scatterebbe la garanzia pubblica per indennizzare chi ha investito. In caso di profitto, lo Stato viene pagato per avere offerto il servizio di quella stessa garanzia.
La seconda ipotesi viene dal centro studi Astrid: inserire le sofferenze bancarie in pacchetti di titoli che poi potrebbe acquistare la Bce nei suoi nuovi interventi, sempre con una garanzia dello Stato italiano in caso di perdite.
Ma Padoan fa trapelare che esiste forse anche una terza via, quando parla con Repubblica di un accordo da fare con Bruxelles sugli aiuti di Stato: un sistema di sgravi fiscali per facilitare l’uscita delle sofferenze dalle banche. Gli aspetti tecnici seguiranno, se al governo basterà il coraggio. Ma senza la grande chirurgia sul credito in Italia, i 1.140 miliardi in arrivo della Bce arricchiranno solo chi è già ricco di risparmi grazie all’aumento delle quotazioni sui mercati. Con buona pace di Occupy, non faranno mai crescere gli investimenti e il lavoro per chi non ne ha.