Roubini dà per scontato che non si farà in tempo a concludere il negoziato sulla ristrutturazione del debito prima che cominci il martellamento delle scadenze: il 28 febbraio scadono i tempi per l’intervento del fondo salvastati Efsf, il 15 marzo è in calendario la restituzione di 1,9 miliardi all’Fmi e un’altra tranche identica è prevista per il 15 giugno. Il 20 luglio è il momento di 3,5 miliardi dovuti alla Bce e il 20 agosto di altri 3,2 sempre alla Bce. Troppe date che incalzano e troppi nodi negoziali da sciogliere, fermo restando che è volontà di tutti non far saltare il banco. L’ipotesi di Roubini per schivare «un percorso di potenziale collisione » è la seguente. La Troika mette Atene in una doghouse, una specie di recinto vigilato «un passo indietro rispetto all’uscita dall’euro». Le banche greche ricorrono ulteriormente a uno strumento poco noto ma già usato in questi anni di crisi: l ’ emergency liquidity agreement .
«Le banche greche sono state tenute a galla dall’istituto centrale di Atene tramite denaro stampato in proprio, e non dalla Bce, ovviamente con il consenso dell’Eurotower stessa», spiega Brunello Rosa, il capo della macroeconomia all’Rge che ha firmato il rapporto insieme allo stesso Roubini e agli due economisti Alex Walters e Ariel Rajnermana. «Tutto questo in aggiunta ad altri fondi ancora, che invece sono forniti dalla stessa Bce ma sempre in regime di emergenza: solo in base a quest’eccezione si possono continuare a finanziare le banche e il sistema Grecia senza che questo possa dare in garanzia i suoi titoli di Stato, com’è prassi in Europa, perché non sono investment grade come previsto dalle regole».
Con il ricorso ulteriore a questi fondi quindi si mantiene in Paese a galla finché non si trova un compromesso, che potrebbe richiedere anche un anno o forse più. In parallelo continuerebbe il negoziato più o meno riservato per dilazionare sempre di più le scadenze sui prestiti (solo quelli degli Stati) e sugli interessi. Ma non è ancora finita: parte integrante del progetto è un «limitato stimolo fiscale», come lo chiama Roubini. In pratica fondi per lo sviluppo in esenzione da qualsiasi parametro o memorandum con i quali Tsipras «porti avanti misure di sostegno sociale e di sviluppo economico ». E come saranno finanziati? Non con denaro fresco della Troika bensì con l’emissione di nuovi titoli che non potranno che essere ad alti tassi, «sempre che il mercato consenta un minimo di accesso». Insomma, un compromesso «che limita l’azzardo morale perché non contempla impegni aggiuntivi dell’Europa ma nel frattempo previene il massiccio contagio che una Grexit a pieno titolo sicuramente provocherebbe». E che dovrebbe portare a una soluzione definitiva di sostenibilità e crescita, allentando la morsa del debito. Inoltre, parte dei fondi derivanti dai nuovi bond potrebbe servire per pagare la Bce, che deve essere saldata per intero (pena l’uscita automatica dalla “tutela” e dal Quantitative easing ).
È cruciale che si proceda sul doppio binario: sostegno alle banche e misure sociali. Finanza ed economia reale. E questo per evitare l’accusa, che Tsipras e il suo ministro delle Finanze, il falco Varoufakis, sono pronti a vibrare: che cioè le manovre di salvataggio in realtà salvino solo gli istituti di credito, francesi, tedeschi o greci che siano. «È vero che la maggior parte dei fondi d’intervento sono andati lì, ma bisogna capire – spiega il rapporto – che il crollo delle banche greche, così come il crollo degli istituti internazionali loro creditori, avrebbe comportato un effetto domino disastroso per il Paese stesso». E in ogni caso, anche su questi nuovi bond emessi per quello che in sostanza è l’ennesimo salvataggio, grava il rischio di default. Per Atene, è davvero l’ultima occasione.