Usa, dilaga la nuova disubbidienza civile

by redazione | 7 Dicembre 2014 10:08

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Acco­mu­nate dalla rab­bia e col­le­gate dai social media le pro­te­ste si sono nuo­va­mente impa­dro­nite della notte ame­ri­cana: ad Oakland, Detroit, Chi­cago dove le mani­fe­sta­zioni hanno bloc­cato il cen­tro, a Cle­ve­land dove la gente si è sdra­iata in terra chiu­dendo coi pro­pri corpi il Detroit-Superior bridge, a Miami dove i mani­fe­stanti hanno invaso la 195, una delle prin­ci­pali arte­rie della città, a Boston le folle si sono impa­dro­nite di Har­vard square e invaso la zona uni­ver­si­ta­ria di Cam­bridge. Poi Los Ange­les, Min­nea­po­lis e New York dove la gente è tor­nata riu­nirsi e per evi­tare una piog­gia bat­tente ha insce­nato die-in nella Grand Cen­tral Sta­tion nei magaz­zini Macy’s e nell’Apple store della 5th Ave­nue, per­ché come ha detto un con­te­sta­tore «è ora di por­tare la lotta dove più conta: al cuore del capitalismo».

A Broo­klyn c’è stata veglia per Akai Gur­ley, ucciso da un poli­ziotto nelle case popo­lari del quar­tiere solo due set­ti­mane fa. Il suo caso verrà esa­mi­nato da un enne­sima grand jury per valu­tare se rin­viare a giu­di­zio l’agente col­pe­vole; potrebbe essere un’altra cata­strofe annun­ciata. La paci­fica inva­sione delle strade e delle città sta diven­tando un rito quo­ti­diano e nazionale.

La nuova disub­bi­dienza civile dilaga, appa­ren­te­mente cao­tica ma anche molto disci­pli­nata nell’organizzazione «mas­sic­cia­mente paral­lela» che vede repli­cato in decine di città lo stesso tipo di azione di disturbo con lo slo­gan di «la rivo­lu­zione deve essere sco­moda». Ci sono stati cen­ti­naia di arre­sti, più di 300 in set­ti­mana solo a New York e molti altri nel resto del paese ma fin’ora non si sono regi­strate cari­che della poli­zia che man­tiene per­lo­più una pru­dente distanza.

Gli sforzi dei con­te­sta­tori, molti gli stu­denti e i ragazzi delle secon­da­rie ma anche uomini, donne, cit­ta­dini di tante razze e colori, stanno irre­vo­ca­bil­mente modi­fi­cando il dia­logo su razza, raz­zi­smo e sulla bru­ta­lità della poli­zia in Ame­rica. Non è poco, in un paese dove pre­ce­den­te­mente non sono bastate rivolte civili con decine di morti e anni di riven­di­ca­zioni e denunce di espo­nenti poli­tici a fer­mare la san­gui­nosa scia di vit­time della poli­zia che da anni fune­sta la nazione.

I numeri non men­tono: come i dati sull’incarcerazione e sulla pena di morte, rive­lano lam­pante il raz­zi­smo isti­tu­zio­nale che miete vit­time supe­riori per molti ordini di gran­dezza fra gli afroa­me­ri­cani. Sta­ti­sti­che ver­go­gnose che inchio­dano i respon­sa­bili a un’infame tradizione.

Poi c’è una dif­fusa cul­tura di “ordine pub­blico” basata sulla “tol­le­ranza zero” e il con­trollo sociale impo­sto con la forza. Una fatale ricetta quando una poli­zia armata fino ai denti è la prima linea di con­tatto con una impres­sio­nante popo­la­zione di senza tetto e malati di mente abban­do­nati sulle strade d’America. Anti­che malat­tie oggi chia­mate in causa con una forza non vista dal movi­mento per i diritti civili di 50 anni fa. L’indignazione per una stringa di casi par­ti­co­lar­mente ini­qui, da Michael Brown a Grant a Tamir Rice, il bam­bino ucciso a Cle­ve­leand, ha dato un nuovo vigore a un movi­mento pro­gres­si­sta che negli anni scorsi ha avuto dif­fi­coltà a con­cre­tiz­zare obbiet­tivi e soste­nere la pro­te­sta. Per chi negli anni ha visto iso­lati mili­tanti sgo­larsi invano nei quar­tieri neri ad ogni sopruso e assas­si­nio di poli­zia, chi ha visto ogni volta la fiam­mata di indi­gna­zione spe­gnersi nell’indifferenza o nella repres­sione delle ine­vi­ta­bili rivolte, ciò che sta avve­nendo sulle strade d’America è straor­di­na­rio, come lo è quanto radi­cal­mente stia cam­biando il tono di media e politica.

Per chi negli anni ha docu­men­tato l’impunità della poli­zia la sup­po­nenza con cui le auto­rità si sono trin­ce­rate die­tro alla indi­scussa soli­da­rietà con le forze “pro­tet­trici” dell’ordine, impe­dendo inda­gini e inchie­ste giu­di­zia­rie dei poli­ziotti, il vero e pro­prio sol­le­va­mento popo­lare di que­sti giorni è piut­to­sto ecce­zio­nale. Come se si fosse infine col­mata una misura per cui l’epidemia di morti “da poli­zia” appare infine sulle pagine, non certo pro­gres­si­ste del Wall Street Jour­nal o addi­rit­tura del ris­soso foglio popu­li­sta di New York, il Post che dopo il ver­detto Grant ha tito­lato cubi­tal­mente «We Can’t Brea­the». E anche una parte con­si­stente di opi­nione pub­blica ame­ri­cana oggi non rie­sce più a “respi­rare”, a tol­le­rare una dila­gante e palese ingiustizia.

Il paese in que­sti giorni prende le misure a un nuovo movi­mento tra­sver­sale per i diritti civili che coopta istanze e l’energia di Occupy appli­can­dole all’obbietivo con­creto di un’effettiva riforma della poli­zia. A fronte di que­sto feno­meno epo­cale manca per ora un cor­ri­spet­tivo isti­tu­zio­nale.
All’attorney gene­ral dimis­sio­na­rio di Obama, Eric Hol­der, riman­gono poche set­ti­mane in carica per inter­ve­nire con una signi­fi­ca­tiva riforma sui temi di discri­mi­na­zione giu­di­zia­ria e car­ce­ra­ria che lui stesso ha ripe­tu­ta­mente sol­le­vato durante il man­dato come primo mini­stro di giu­sti­zia afroa­me­ri­cano d’America.

L’annunciato dise­gno di legge in merito potrebbe essere reso noto già domani, ma indi­scre­zioni a riguardo fanno intra­ve­dere solo un gene­rico amplia­mento delle regole fede­rali con­tro il pro­fi­ling, la discri­mi­na­zione delle mino­ranze da parte della poli­zia. Ma que­ste sono già in gran parte in vigore e non hanno impe­dito ad oggi le siste­mi­che uccisioni.

Se è solo que­sto – o le modi­fi­che all’addestramento dei poli­ziotti come quelle annun­ciate dal sin­daco di New York — che saprà espri­mere il governo, sarà troppo poco alla luce della rab­bia e dell’indignazione espresse da un movi­mento che reclama sem­pli­ce­mente la fine dell’impunità per gli agenti assassini.

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