Ttip: Ces e Afl-Cio uniti nella lotta

by redazione | 12 Dicembre 2014 8:40

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«Se i nego­zia­tori non per­se­guono que­sti obiet­tivi, i nego­ziati dovreb­bero essere sospesi». È la pre­messa al docu­mento «Il Ttip deve fun­zio­nare per le per­sone, altri­menti non fun­zio­nerà affatto», che la Con­fe­de­ra­zione Euro­pea dei Sin­da­cati (Ces) e la con­fe­de­ra­zione sin­da­cale sta­tu­ni­tense Afl-Cio hanno dif­fuso con­giun­ta­mente nel luglio scorso. Il movi­mento sin­da­cale euro­peo e quello ame­ri­cano — tra­di­zio­nal­mente non con­trari agli accordi com­mer­ciali — hanno posto chiare con­di­zioni alla Com­mis­sione Euro­pea e all’Amministrazione Obama. Per poter pro­se­guire, il nego­ziato Ttip dovrebbe garan­tire un pieno pro­cesso demo­cra­tico, inclu­sivo dei par­la­menti e delle parti sociali, sia nella fase di nego­ziato, come nell’implementazione e nel moni­to­rag­gio di un even­tuale trat­tato; garan­tire che il capi­tolo sullo «svi­luppo soste­ni­bile» (norme ambien­tali, sociali e del lavoro) abbia la stessa forza ed esi­gi­bi­lità delle norme com­mer­ciali; pro­teg­gere lo spa­zio di legi­fe­ra­zione degli stati, l’interesse pub­blico e il «prin­ci­pio di pre­cau­zione»; pro­teg­gere la pri­vacy delle comu­ni­ca­zioni e infor­ma­zioni personali.

Al con­tra­rio, secondo Ces e Afl-Cio, il Ttip non dovrebbe con­te­nere alcun mec­ca­ni­smo di riso­lu­zione delle dispute investitore-stato (il fami­ge­rato Isds); osta­co­lare le regole di con­trollo sui ser­vizi finan­ziari; met­tere in peri­colo i ser­vizi pub­blici essen­ziali — che vanno esclusi dal nego­ziato; pre­giu­di­care l’accesso ai far­maci e alle cure sani­ta­rie; pre­giu­di­care il prin­ci­pio di appli­ca­zione delle norme del paese ospi­tante per i lavo­ra­tori distac­cati; con­te­nere norme sull’immigrazione, che devono essere defi­nite fuori dagli accordi com­mer­ciali, nelle sedi isti­tu­zio­nali ido­nee, come l’Ilo, e nell’ambito di un approc­cio basato sui diritti.
Ces e Afl-Cio con­fer­mano che, se que­ste con­di­zioni non saranno rispet­tate, l’opposizione al nego­ziato non potrà che farsi via via più forte e nume­rosa, nel mondo del lavoro, come nella società civile delle due sponde dell’Atlantico.

Il ral­len­ta­mento del nego­ziato ha con­sen­tito il mol­ti­pli­carsi delle prese di posi­zione di sin­da­cati nazio­nali e delle cate­go­rie euro­pee che, da Indu­striALL (indu­stria) ad Epsu (ser­vizi pub­blici), da Effatt (ali­men­ta­ri­sti e turi­smo) a Etf (tra­sporti), hanno chie­sto la sospen­sione del nego­ziato. Tanto più dopo la firma del Ceta tra Europa e Canada, giu­di­cato dalla Ces nega­tivo in sé — tanto da chie­dere al par­la­mento euro­peo e a quelli nazio­nali di votare con­tro la sua rati­fica — e un vero e pro­prio «cavallo di Troia» rispetto al Ttip. Nes­suna delle prin­ci­pali con­di­zioni poste dai sin­da­cati è stata rispet­tata. Il Ceta con­tiene un mec­ca­ni­smo Isds, include i ser­vizi pub­blici — per di più col sistema della lista «nega­tiva» (tutto a mer­cato, salvo quanto espli­ci­ta­mente negato), non pre­vede alcuna reale esi­gi­bi­lità dei diritti del lavoro. Come noto, di fronte alla con­tra­rietà dei governi tede­sco e fran­cese, la Com­mis­sione ha aperto una con­sul­ta­zione pub­blica sull’ISDS — senza ancora farne cono­scere i risul­tati — e la CES e i sin­da­cati euro­pei hanno espresso for­mal­mente la loro con­tra­rietà a que­sto mec­ca­ni­smo di arbi­trato extra­giu­di­ziale che mette gli Stati alla mercè di mul­ti­na­zio­nali e inve­sti­tori stranieri.

Ma, tanto più alla luce dell’ormai ven­ten­nale espe­rienza del Nafta, Afl-Cio ha avan­zato serie pre­oc­cu­pa­zioni sui livelli occu­pa­zio­nali e sulla qua­lità dei posti di lavoro decan­tati dai soste­ni­tori del Ttip, incon­trando — da que­sta parte dell’Atlantico — ana­lo­ghe pre­oc­cu­pa­zioni della Cgil, della Cgt degli spa­gnoli, del Tuc inglese che hanno «trai­nato» su una posi­zione for­te­mente cri­tica il sin­da­cato tede­sco e quelli nor­dici, tra­di­zio­nal­mente più «aperti» verso gli accordi com­mer­ciali. Del resto, un recente stu­dio della Tufts Uni­ver­sity ribalta le pre­vi­sioni — posi­tive, per quanto limi­tate — degli studi di impatto com­mis­sio­nati dall’Unione Euro­pea sulle pro­spet­tive per i posti di lavoro in Europa. Dal Ttip non deri­ve­rebbe alcun van­tag­gio occu­pa­zio­nale al vec­chio con­ti­nente, anzi un’ulteriore per­dita di occu­pati, par­ti­co­lar­mente nei paesi mediterranei.

Così come aumen­te­reb­bero le distor­sioni interne: aumenti nell’export verso gli Usa sareb­bero pagati con la sosti­tu­zione di impor­ta­zioni da oltre Oceano di una parte delle impor­ta­zioni oggi pro­ve­nienti da altri paesi euro­pei. Le con­di­zioni poste dai sin­da­cati, dun­que, sono tutt’altro che cam­pate per aria e non saranno certo miti­gate dalla parola d’ordine sulla tra­spa­renza dei nego­ziati, lan­ciata dalla nuova Com­mis­sa­ria Ceci­lia Mal­strom, men­tre il governo ita­liano si inte­sta la meda­glia della dese­cre­ta­zione del man­dato nego­ziale. Come se ciò fosse suf­fi­ciente a met­tere sullo stesso piano i sin­da­cati — che hanno accesso ai brevi brie­fing infor­ma­tivi tra una ses­sione nego­ziale e l’altra — e le lobby finan­zia­rie ed indu­striali che sti­lano norme e rego­la­menti con la Dg Trade o con lo staff del nego­zia­tore Usa Froman.

E se gli «stra­te­ghi» del Ttip, tra cui il nostro vice­mi­ni­stro Calenda, vedono nel trat­tato l’ultimo treno per aggan­ciare gli Usa, irri­me­dia­bil­mente rivolti all’Asia con il nego­ziato Trans Paci­fico (Tpp), la Con­fe­de­ra­zione Inter­na­zio­nale dei Sin­da­cati (Csi-Ituc) e 14 sin­da­cati dei 12 paesi coin­volti hanno anch’essi chie­sto — con moti­va­zioni molto simili ai loro col­le­ghi tran­sa­tlan­tici — uno stop a quel negoziato.

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