«È un risultato straordinario», ha dichiarato la ministra, sottolineando che «l’Italia, nel progetto partito nel 1998, sin dall’inizio ha deciso di essere partner non acquirente». Onore al merito bipartisan. Dopo la firma del primo memorandum d’accordo da parte del governo D’Alema nel 1998, è stato il governo Berlusconi a firmare nel 2002 l’accordo che ha fatto entrare l’Italia nel programma come partner di secondo livello. È stato nel 2007 il governo Prodi a perfezionarlo e prospettare l’acquisto di 131 caccia. È stato nel 2009 il governo Berlusconi a deliberarne l’acquisto. È stato nel 2012 il governo Monti a «ricalibrare» il numero dei caccia da 131 a 90 per dimostrare che, di fronte alla crisi, tutti devono stringere la cinghia. È stato nel 2013 il governo Letta e nel 2014 quello Renzi a confermare gli impegni dell’Italia nel programma F-35 capeggiato dalla statunitense Lockheed Martin, prima produttrice mondiale di armamenti.
«Un successo industriale fortemente voluto dalla Difesa», lo definisce Pinotti, assicurando che la scelta di Cameri produrrà «ricadute enormi per l’Italia». Enormi? Resta da vedere in che senso. «Lo stabilimento di Cameri a pieno regime aumenterà notevolmente le persone impegnate direttamente», prevede Pinotti. Non dice però quanto vengono a costare i pochi posti di lavoro creati a Cameri e nella ventina di aziende che producono componenti per l’F-35. L’impianto Faco di Cameri, costato all’Italia quasi un miliardo di euro, dà lavoro a meno di mille addetti che, secondo Finmeccanica, potrebbero arrivare a 2500 a pieno regime. E, nell’annunciare la scelta di Cameri, il generale Usa Christopher Bogdan chiarisce, in previsione di ulteriori spese per lo stabilimento, che «i paesi partner del programma F-35 si fanno carico degli investimenti per tali impianti».L’ambasciatore Phillips rammenta poi a Pinotti ciò che si è dimenticata di dire (e che gli altri giornali non scrivono), cioè che «l’Italia manterrà la parola data sui 90 aerei», ossia sull’acquisto di 90 caccia F-35. A un prezzo ancora da quantificare.
L’accordo stipulato in ottobre dal Pentagono con la Lockheed Martin per l’acquisto di altri 43 F-35, di cui 2 per l’Italia, stabilisce che «i dettagli sul costo saranno comunicati una volta stipulato il contratto». L’Italia si impegna quindi ad acquistare altri F-35 senza conoscerne il prezzo. Per una stima di massima, ricavata dal bilancio del Pentagono, il costo unitario attuale è di 177 milioni di dollari – oltre 140 milioni di euro – ossia circa 13 miliardi di euro per 90 caccia. La Lockheed assicura che, grazie all’economia di scala, il costo unitario diminuirà. Non dice però che l’F-35 subirà continui ammodernamenti che faranno lievitare la spesa. L’annuncio di Pinotti che l’F-35 «rimarrà in attività per 30 anni con revisioni periodiche» significa quindi che per decenni altri miliardi usciranno dalle casse pubbliche.
Il generale Bogdan prevede per Cameri un futuro ancora più «radioso»: «Dato che l’Italia accrescerà la capacità di produzione dell’impianto – dice – vi è la possibilità che gli Usa e altri partner costruiscano a Cameri loro aerei», in collaborazione con la Gran Bretagna e la scelta di Cameri, come quella di un impianto turco, è dovuta a diversi fattori, tra cui «la posizione geografica, la necessità operativa e la prevista distribuzione degli aerei». In altre parole, il generale Bodgan spiega che l’Italia è stata scelta quale «polo di manutenzione» dei caccia F-35 perché il Pentagono prevede di usarla ancora di più quale portaerei Usa/Nato nel Mediterraneo.