Lo spettro nero che torna dagli anni delle stragi e l’idea di un altro Italicus

by redazione | 23 Dicembre 2014 10:12

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C’è il vecchio fondatore di Ordine nuovo, il novantatreenne che ha addirittura scritto un progetto di Costituzione per l’Italia neofascista; c’è il quasi cinquantenne suo seguace considerato il capo dell’organizzazione, che voleva «destabilizzare il Paese… ma non alla cieca come è stato fatto quarant’anni fa colpendo stazioni, bambini… va fatto mirato, ma va fatto»; e c’è il ragazzo poco più che trentenne, che rivendica la necessità di «colpire metropolitane tipo Bologna, Milano, Roma per incutere terrore nella popolazione… la gente deve essere costretta a chiedere aiuto e quindi, dopo aver attuato azioni violente, ci dev’essere chi si propone per la soluzione del problema».
Stragi nere
Attraversa tre generazioni il progetto di rifondare Ordine nuovo, movimento neofascista che più di tutti ha legato il suo nome alla strategia della tensione e alle stragi che hanno insanguinato l’Italia nel passaggio dagli anni Sessanta ai Settanta. Una sigla rinata nel 1969 dopo che alcuni fondatori del circolo culturale omonimo, nato nel 1956, avevano deciso di rientrare nel Movimento sociale italiano. Protagonista di una storia nera, schiarita solo in parte dalle indagini — sempre e costantemente depistate dagli apparati dello Stato — e dai processi. Conclusi quasi tutti senza condanne per i colpevoli, ma dopo aver fornito una ricostruzione attendibile da cui emerge la matrice neofascista delle bombe e del progetto «destabilizzante per stabilizzare» che stava dietro gli attentati nelle piazze, nelle banche e sui treni. Dietro i quali in diverse occasioni è comparso il richiamo all’ascia bipenne, simbolo di un gruppo pericoloso e ambiguo, visti i legami con i Servizi segreti italiani e stranieri.
Il passato di sangue
Dalla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969, 17 morti e 88 feriti) a quella di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, 8 morti e 100 feriti) il coinvolgimento degli ambienti ordinovisti veneti è stato dimostrato o considerato altamente probabile, oltre che in attentati «di contorno» durante quei cinque anni di esplosioni e fibrillazioni politiche. Poi venne l’eccidio sul treno Italicus (4 agosto ‘74, 12 morti e 48 feriti) citato come esempio da Stefano Manni, l’uomo della generazione neofascista di mezzo che prendeva spunti dall’esperienza di quella precedente — impersonata da Rutilio Sermonti, ex repubblichino che partecipò alla fondazione di On — e affidava istruzioni al «giovane» Luca Infantino, rappresentante dell’ultima nidiata.
«Io credo che sia il caso di… è brutto dirlo… ma credo sia il caso di riprendere la strada dell’Italicus… ma su ampissima scala… questo è un popolo che non merita nulla, l’ultima dimostrazione l’abbiamo data con il non funerale di Priebke…», spiegava Manni nell’ottobre 2013. È un’altra strage rimasta senza colpevoli ufficiali, quella del treno squarciato all’uscita da una galleria dell’Appennino tosco-emiliano. Ci fu una rivendicazione di Ordine nero, gruppo che aveva preso l’eredità di Ordine nuovo dopo il decreto di scioglimento (per ricostruzione del partito fascista, vietata dalla legge) firmato dall’allora ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani.
Alla sbarra fu portato Mario Tuti — ex ordinovista poi fondatore del Fronte nazionale rivoluzionario e assassino dei due poliziotti che erano andati ad arrestarlo nel gennaio 1975 — che uscì assolto, condannato e poi definitivamente assolto. Anche il nome di Tuti compare nelle carte dell’inchiesta aquilana, quando uno degli inquisiti dice a un altro: «A me interessa selezionare le persone, per questo voglio avere tutto il tempo di andare da Mario (e per gli investigatori è proprio Tuti, ndr ), parlare con lui, valutare chi poter inserire settore per settore… Credo che sia giunto il momento che insomma, gente come noi non se ne stia più con le mani in mano».
L’omicidio Occorsio
Nei primi anni di carcere (oggi è ancora detenuto, ma in semilibertà) Tuti uccise un «camerata» ritenuto inaffidabile, pericoloso perché avrebbe potuto dire qualcosa sulla strage di Brescia; lo strangolò con la collaborazione di Pierluigi Concutelli, militante di On e killer del pubblico ministero romano Vittorio Occorsio, ucciso la mattina del 10 luglio 1976, appena uscito di casa per andare in ufficio, ultimo giorno prima delle vacanze estive. Grazie alle indagini di quel magistrato, che portò a giudizio numerosi aderenti, Ordine nuovo fu sciolto, e oggi i seguaci di quella tradizione inneggiano su Facebook al suo omicidio. «1-10-100-1000 Occorsio», ha scritto il 26 settembre dello scorso anno Manni.
Concutelli e gli altri
Concutelli è un nome che collega le cronache legate ai neofascisti di ieri e di oggi anche perché è amico del «camerata» romano Emanuele Macchi di Cellere, già affiliato alle bande armate che volevano tenere alta la tradizione ordinovista, riarrestato qualche giorno fa per l’uccisione del presunto cassiere della banda di Gennaro Mokbel, assassinato il 3 luglio scorso a Roma. Questione di soldi, non di politica, ma sempre alimentata dai reduci di quella storia nera. Insieme a Macchi di Cellere, per l’omicidio di Roma è inquisito Egidio Giuliani, classe 1955, pure lui ex «soldato» della lotta armata di destra; il quale — secondo un rapporto della Squadra mobile della Capitale — era in contatto con Rainaldo Graziani, convolto nella gestione del ristorante e associazione culturale «Corte dei Brut» a Gavirate, in provincia di Varese. Le cronache di qualche anno fa l’hanno indicato come il reclutatore delle «guardie d’onore» alla tomba di Mussolini, ed è figlio di Clemente Graziani, un altro dei fondatori di Ordine nuovo. In uno dei messaggi telematici intercettati dai carabinieri nell’indagine aquilana, il neoarrestato Infantino aveva diffuso «un’anticipazione» del Manifesto scritto da Graziani senior al tempo del processo istruito da Occorsio, con la precisazione: «Per avere il file contattate me e/o Stefano Manni».
Giovanni Bianconi
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